Powered By Blogger

sabato 4 luglio 2009

Chiudere il CGIE. La stampa "terrorista".

Il Globo & La Fiamma - Australia
Venerdi, 03 luglio 2009
Il mio articolo di un paio di settimane fa, con il quale sostenevo l’inutilità’ del CGIE, ha fatto infuriare Riccardo Pinna del Sud Africa, uno dei “magnifici” 94. Con un paio di e-mail ha scaricato su di me tutta la sua rabbia. Prima accusandomi di questo e di quello, dimostrando di non conoscere affatto la mia storia personale e politica (sicuramente mi avra’ scambiato con un’altra persona), poi e’ arrivato persino a minacciarmi. E se gli accadesse come a quello che andò per suonare e ritornò suonato? A parte le “ragazzate”, il signor Francesco Porati, anche lui del Sud Africa, con una sua e-mail ha voluto testimoniare che Pinna, che conosce da molti anni, e’ una bravissima persona, un lavoratore, un buon padre di famiglia e ha sempre svolta un’intensa attività sociale a favore degli italiani in Sud Africa. Nulla di nuovo dunque sotto il sole: “Senatores boni viri, senatum mala bestia” (ogni singolo senatore e’ una brava persona, ma il senato e’ disastrosamente disonesto) dicevano gli antichi romani. Sono piu’ che convinto che Pinna sia una brava ed onesta persona, come lo sono senz’altro gli altri “magnifici” del CGIE (tranne alcune autentiche “fetecchie”), ma rimango sempre piu’ convinto che il CGIE, oltre ad aver “sprecato” ingenti somme, non e’ mai servito a nulla. Quello che piu’ conta e’ che non sono il solo a sostenerlo. “Ho trovato sempre il lavoro del CGIE del tutto inesistente per quanto riguarda la nostra comunità. Anzi le dirò che il nostro Stato, il New South Wales, non essendo rappresentato nel gruppo australiano, abbiamo chiesto ad uno dei loro rappresentanti di venire a Sydney per una riunione per dare un rapporto sul loro lavoro. Ci e’ stato risposto che non ci sono fondi disponibili per tale attività e perciò questa persona non e’ mai venuta a Sydney. E’ veramente una vergogna ed e’ importante che queste strutture inutili vengano eliminate.” Riporto parzialmente l’e-mail inviatami dall’On. Franca Arena. Ma ne sono convinte anche tutte, indistintamente, le persone che hanno partecipato (via e-mail) al dibattito tra me e Pinna. Tra i “rarissimi” che invece sostengono che il CGIE abbia fatto cose positive, c’e’ Gianluigi Ferretti, direttore del giornale on-line “L’Italiano”. Anche lui e’ uno dei “magnifici” 94, ma di “nomina governativa”. Ferretti ci ha voluto informare di essere un “esperto” in emigrazione da oltre 40 anni, ci risulta che abbia sempre permanentemente risieduto in Italia, ma lui giura di essere stato un emigrante. Una simile storiella ce la raccontò Barbara Contini quando, in “tour elettorale” in Australia, ci fece sapere di essere una “emigrante” come noi! Una cosa e’ certa. Visto che noi “emigranti genuini” siamo persone cortesi, pazienti e generose rischiamo sempre di passare per fessi ed e’ così, infatti, che ci hanno sempre trattato. In un’altra e-mail Ferretti scrive che: “Sono disposto a spiegarlo io subito (ndr: quello che il CGIE avrebbe fatto) dopo che qualcuno avrà spiegato che cosa sta facendo un Sottosegretario per gli italiani all'estero e cosa stanno facendo i 18 parlamentari per gli italiani all'estero e cosa fa la Corte costituzionale, il Cnel. Va bene che non ci vuole una prova di intelligenza per accedere ad internet, ma, suvvia, un po' di serietà!”. Ferretti vuole salvarsi buttando la palla in angolo: non ci dirà mai niente del CGIE. Non per la reticenza di quelli da lui menzionati, ma esclusivamente perché il CGIE, oltre a far viaggiare gratis in tutto il mondo i 94 “magnifici”, non ha mai combinato un bel niente per gli italiani nel mondo. E questo, con inequivocabile chiarezza, e’ stato confermato durante la trasmissione “Italiaword” su “RaiItalia” di sabato 27 giugno (in Australia) imperniata sulla ristrutturazione della rete consolare e, soprattutto, sulla riforma dei COMITES e del CGIE. Per discutere dell’argomento, erano presenti molti dei parlamentari eletti all’estero, tra cui Nino Randazzo e Marco Fedi. Mentre Randazzo si e’ espresso confusamente, dal dialetticamente disinvolto, ma con il solito ermetico politichese, Fedi ha chiesto di aprire un “tavolo”: e’ una sua mania fissa! Il che vuol dire chiacchierare all’infinito di teorie astruse per non concludere mai nulla: esattamente come e’ sempre avvenuto nel CGIE. Se non lo farà Ferretti ad elencarci i pregi del CGIE, lo faccia Fedi che ne ha fatto parte sin da primo istante della sua fondazione e ne e' uscito da poco. Anche Randazzo, per essere ancora uno dei “magnifici” 94, dovrebbe dirci che caspita ha combinato in vent’anni il CGIE. Macché, “democraticamente” non ce lo dirà mai nessuno, neppure il segretario generale Elio Carozza. Il CGIE e’ “COSA LORO”! Gli italiani nel mondo non debbono ficcarci il naso, chi chiede “trasparenza” e’ considerato un “provocatore”. Piero Badaloni, che ha condotto la trasmissione di “Italiaword”, si e’ ben guardato d’iniziare la trasmissione facendo ai presenti le seguenti domande: “Quanti italiani nel mondo sono al corrente dell’esistenza del CGIE e dei COMITES? E chi e’ al corrente sa cosa fanno?”. Se ne e’ astenuto cosciente che avrebbe messo in grande imbarazzo i suoi ospiti. Non e’ che potevano rispondere che il 99% degli italiani nel mondo non sa dell’esistenza dei due organismi e che il restante 1%, che ne e’ consapevole, considerati i vent’anni di fallimenti con conseguente spreco di denaro, sono arciconvinti che debbano essere aboliti. Durante il dibattito, sia dai presenti nello studio e sia dagli intervistati via telefono, si e’ accreditata la convinzione di sopprimere senz’altro il CGIE e di riformare i COMITES. E’ da tempo che lo sostengo insieme a moltissimi altri. I COMITES, cosi’ come sono, dovrebbero essere aboliti. Opportunamente riformati potrebbero essere molto utili alla comunità italiana nel mondo. Dovranno pero’ essere composti esclusivamente da membri che siano degli stimati professionisti, conosciuti sia dalla comunità italiana e sia dalla comunità del Paese dove vivono e non dovranno superare l’età’ dei 50/55 anni. Nell’ascoltare gli eletti all’estero presenti, e’ apparso piu’ che evidente che nessuno e’ all’altezza di rappresentarci degnamente ed efficacemente. Purtroppo non saranno mai in grado di risolvere nessuno dei problemi degli italiani nel mondo. Durante il dibattito si e’ compreso che anche loro stessi si sono accorti della loro inutilità ed hanno espresso il timore che la riforma parlamentare cancellerà i 18 eletti all’estero. La trasmissione ha messo in evidenza che vi e’ antagonismo politico tra i 18 parlamentari esteri invece di essere tutti uniti. Si e’ evitato pero’ di parlare degli ultimi avvenimenti scandalistici accaduti in Italia. Altrimenti sarebbe risultato evidente che la sinistra italiana non si e’ preoccupata di danneggiare l'Italia tutta pur di colpire l'avversario politico, contribuendo a fornirne un'immagine grottesca e contraffatta nei paesi esteri, con gravi danni politici ed economici. E’ stupido che l’opposizione dia l’opportunità’ allo spocchiosoFinancial Time” ed ai britannici di continuare a guardarci dall’alto in basso, considerandoci una sottospecie umana ed il Paese delle banane: i “soliti italiani mandolino e spaghetti”. Eppure l’Inghilterra e’ una nazione che sempre e’ stata devastata da scandali a sfondo sessuale, corruzione e malversazione. La colpa e’ anche del provincialismo degli italiani che danno troppa importanza alla stampa straniera. Una volta il nostro Paese era totalmente ininfluente, da quando la musica e’ cambiata questo da fastidio. Vorrebbero che l’Italia rimanesse un Paese a sovranità limitata e che alcuni possano imporci un esecutivo di loro gradimento e dimissionarne un’altro a loro sgradito. Quando il “Financial Time” vaneggia di un Berlusconi prossimo alle dimissioni e di un Gianni Letta che lo sta abbandonando, allora capiamo che l’articolo gli è stato preparato da un giornalista de “La Repubblica”, magari dopo aver alzato il gomito e di parecchio. Ora l’obbiettivo della stampa “terrorista” italiana e di far si che il G8 non rilanci l’immagine di Berlusconi, ma si trasformi in una sua grande sconfitta, per la defezioni dei partecipanti e per scarsi risultati. All’anima del loro slogan: “Salviamo l’Italia”, si stanno impegnando a fondo per distruggerla. Siccome per loro e’ finita: “Muoia Sansone e tutti i filistei”.

venerdì 3 luglio 2009

Le radici del'odio

Scritto da Fabio Raja
giovedì 02 luglio 2009

Affermare che Silvio Berlusconi politico è un’anomalia, è un’ovvietà. Con altrettanta onestà andrebbe detto che tale anomalia è la diretta conseguenza di un’altra: la “pulizia etnica” per via giudiziaria di un’intera classe politica che, tra luci ed ombre, aveva guidato il paese durante la ricostruzione del dopoguerra, l’impetuoso sviluppo economico degli anni sessanta e l’assalto dell’eversione brigatista e delle frange fasciste degli anni settanta e ottanta. Garantendo libertà, democrazia e benessere. Qui non è in discussione se l‘azione dei Magistrati fosse giusta, e probabilmente lo era, o se abbiano travalicato dai loro compiti, e probabilmente lo fecero, o se l’aver graziato i comunisti fosse giusto, lo ritengo difficile, o funzionale ad un progetto che il partito dei PM intendeva attuare.
Qui interessa rimarcare che senza la scelta del Cavaliere di "darsi alla politica", Mani Pulite avrebbe consegnato il paese ai comunisti senza colpo ferire.
La scelta di Berlusconi fu dettata da interessi personali? E’ possibile, anzi probabile ma questa scelta intercettò l’ansia della maggioranza degli elettori che non avevano alcuna intenzione di consegnarsi mani e piedi ai comunisti proprio mentre il comunismo collassava in tutta Europa.
L’aver frustrato non una volta, ma per ben tre volte il sogno dei comunisti e degli ex comunisti di prendere il governo del paese, rappresenta probabilmente la causa prima, il primum movens, dell’odio della sinistra verso l’attuale Premier.
Il Cavaliere, poi, ci ha messo del suo, eccome, per non farsi non dico amare, ma almeno sopportare dai circoli intellettuali e dalle elite progressiste.
Certi atteggiamenti francamente sopra le righe, una vita anche privata che è apparsa quanto meno spericolata, il mantenere un profilo pochissimo, anzi per niente, istituzionale, gli ha procurato l’insofferenza di molti e al tempo stesso il consenso delle masse popolari che lo comprendono al volo e, sebbene ricchissimo, lo sentono vicino, uno dei loro, molto di più di quanto non lo sia, non dico, un Rodotà o un Violante, ma neppure Veltroni e D’Alema.
E’ questa la seconda radice
: la rabbia, l’impotenza che nascono dal non sapersi capacitare come un tipo così, uno psiconano, un venditore di tappeti, uno che ignora la grammatica politica e istituzionale, un puttaniere, uno che va con le minorenni, possa guidare il paese e raccogliere un così largo consenso.
A questa domanda, a sinistra rispondono con un’interpretazione semplice e rassicurante: perché ha le televisioni.
E con le televisioni non solo controlla l’informazione, censurando le voci contrarie, ma fa qualcosa di più e di peggio: manipola le menti, crea una sottocultura che abitua a non pensare, enfatizza e pubblicizza modelli deteriori, inquina il pensiero delle masse.
E’ la terza radice dell’odio, che ignora, o finge d’ignorare che la televisione commerciale vende i prodotti che sono desiderati dalle masse. Che se le masse volessero cultura, rete4 programmerebbe Sofocle e Mozart invece che il Grande Fratello e i Cesaroni. E ignora che i format televisivi trash non sono una specificità italiana, anzi sono nati nel Regno Unito o negli USA. Basta possedere una parabola TV per vedere che dall’Europa, all’America al Medio Oriente, la televisione si è ormai omologata e molti, se non gli stessi programmi sono declinati in Italiano, Inglese, Giapponese, Spagnolo ed Arabo.
C’è poi la quinta ed ultima radice dell’odio.
L’Italia è un paese bellissimo, gli Italiani persone geniali. Eppure nella cultura, nella ricerca ed in tanti altri campi, siamo il fanalino di coda d’Europa. Perché? Perché non c’è concorrenza, perché esistono elite che vivono bene, ed a spese della massa, con privilegi e rendite di posizione, e si oppongono fieramente ad ogni cambiamento e perché sicuri che nessuno ha avuto, ha, ed avrà la forza di cambiare le cose.
Oggi un po’ meno sicuri, perché, per la prima volta dal dopoguerra c’è un uomo che ha un grande potere in Parlamento e un larghissimo consenso nel paese, che potrebbe (sottolineo potrebbe) cambiare le cose.Forse non lo farà, ma potrebbe. Sono preoccupati e non dormono la notte. E per questo odiano.

giovedì 2 luglio 2009

La forza della leadership.

di Pietro De Leo

Nel suo libro Leadership e potere, Joseph Nye Jr sostiene che esistono due tipi di leader: quelli «eventful», il cui emergere dipende strettamente dal cambiamento repentino del contesto sociale, politico ed economico in cui si trovano; e quelli «event making», capaci di modificare essi stessi, con la loro intraprendenza, il corso delle cose. Silvio Berlusconi, forse, è l’unico caso in cui entrambi i modelli confluiscono. E' stato «eventful» nel 1994, quando entrò con energia in un contesto politico nel quale i liberali e i moderati non avevano più un punto di riferimento credibile, visto che tutti i partiti erano stati spazzati via dal ciclone di Tangentopoli.

E’ stato «event making» nell’autunno del 2007: il governo Prodi boccheggiava alle Camere sotto la morsa di Di Pietro e della sinistra radicale; ogni volta sembrava cadere ma rimaneva aggrappato al ciglio del burrone grazie ad una furba politica del «contentino». In quello scenario, Berlusconi (forte di una spinta popolare proveniente sia dalla manifestazione romana del 2 dicembre dell’anno prima e da una campagna –gazebo che vide milioni di italiani lanciarsi nell’attivismo politico) piantò il faro che avrebbe illuminato la strada vero un unico, grande partito liberldemocratico, la prima forza del Paese. E lo fece con un gesto emblematico, di «rottura», il discorso pronunciato sul predellino di un'automobile, in mezzo alla gente, a Milano in Piazza S. Babila. Ma Berlusconi è stato un «creatore di eventi» anche in queste ultime settimane. Il Presidente del Consiglio, proprio in un momento di grande popolarità, è stato reso bersaglio di un'offensiva inedita nei contenuti ma gà vista negli strumenti e nella tempistica.

Un'aggressione di tal portata a colpi di gossip, infatti non si era mai vista contro il premier. Ma l'insistenza di certa stampa su teoremi fasulli e conclusioni sballate, costruite in prossimità di una scadenza elettorale e di un appuntamento internazionale, è roba a cui gli italiani erano già purtroppo abituati dal 1994. Come lo erano alla tempestività di certa sinistra nel mettersi a traino di questa cattiva stampa per rivendicare un improbabile monopolio sui valori, sentendosi stavolta depositaria anche del diritto, vagamente stalinista, di guardare attraverso il buco della serratura altrui. E il Berlusconi «event making» ha reagito nel modo che gli elettori apprezzano di più, proseguendo in maniera spedita il suo cammino del fare, concentrato sulle emergenze che il Paese sta fronteggiando da mesi e su ciò che si aspettano dal governo le famiglie e le imprese. E rilanciando l'immagine dell' Italia in ambito internazionale sia nell'incontro alla Casa Bianca con Obama, sia al vertice Russia – Nato di Corfù. E' l'esempio di come una leadership vera sia una forte garanzia di governabilità. E' l'esempio - l'ennesimo – di un dialogo privilegiato con l'elettorato che la sinistra, dalla caduta del Muro di Berlino, non è più riuscita a costruire, e tenta di riallacciare da quindici anni attraverso la sistematica demonizzazione dell'avversario. A qualsiasi costo, anche quello di trascinare il Paese in una deriva polemica che rischia di disorientare l'opinione pubblica, minando in maniera spregiudicata la coesione sociale, addirittura in un momento di crisi.

Le ideologie sono finite. Le distinzioni nel mondo politico, oggi, si effettuano solo in base alla capacità e al coraggio di realizzare le riforme. La sinistra, però, si ostina a dividere il mondo in «buoni» e «cattivi», utilizzando degli schemi da antiquariato. E' per questo che vede la leadership come un incubo. Ed è per questo che, da troppo tempo, non riesce a trovare quella sintesi con se stessa ed il proprio elettorato talmente credibile da poter esprimere una guida forte. Un conto, infatti, sono candidati frutto di compromessi con realtà collaterali al mondo politico (leggi: poteri forti). Un conto sono i leader, che oltre ad essere i centravanti di una sfida elettorale devono anche indicare la via identitaria di una forza politica.

lunedì 29 giugno 2009

La querela facile di D'Alema.

Lunedì 29 Giugno 2009