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sabato 5 febbraio 2011

Quei corrispondenti esteri sdraiati sui fogli di sinistra.

di Giancarlo Perna

5 febbraio 2011

Ecco perché l'Italia all'estero è una caricatura.
I corrispondenti ricalcano le panzane dei giornali di sinistra senza capire il nostro Paese

Dopo il caso Ruby si fa un gran parla¬re di cosa all’estero si pensi dell’Italia. Il dibattito si infiamma e Stenio Solinas ci ha dato con sottigliezza la sua opinione su queste pagine. A scuotere i nostri animi patriottici è stata la tv franco-tedesca Arté che in un reportage sull’Italia berlusconiana ci ha messo in mutande. Chi però lo ha visto dice che è una fresconata, infarcita di an¬tiberlusconismo di maniera che anzi¬ché fotografare l’Italiane fa la caricatura. Pare che ci dipinga in massa fascisti e delinquenti, guidati da un ca¬pocosca. Non ho mai stravisto per le opinioni che un popolo dà di un altro.

Sono frutto di pregiu¬dizi e svelano più la mentalità di chi le formula che quella di chi le subisce. Naturalmente di¬pende da chi parla. Se oltre ad aprire bocca ha pure testa, puoi divertirti. Una volta Ar¬thur Schopenhauer disse: «Le altre parti del mondo hanno le scimmie, l’Europa ha i france¬si ». Spassoso. Il filosofo non è stato tenero neanche con noi, pur amando l’Italia.Ci conside¬rava allo stesso tempo impu¬denti e vili, pusillanimi e borio¬si: «Gente malfamata che ha volti così belli e animi così catti¬vi »; «parlano in strada con voci orribili. Ma a teatro trillano a meraviglia». Oggi, purtroppo, al brillante Arthur si sono sostituiti nel far¬ci le bucce i corrispondenti esteri di stanza in Italia. Ai loro scritti badano soprattutto i poli¬tici pensando di trarne lumi. Perdono tempo.

È rarissimo, infatti, che lo sguardo degli in¬viati stranieri abbia l’originali¬tà e la f¬reschezza che ci si aspet¬ta da una persona che viene da fuori. Dico rarissimo per corte¬sia, in realtà mai letto nulla sul¬la stampa estera che non fosse già stradetto da quella italiana. Sola eccezione l’economia do¬ve spesso lo straniero ottiene scoop e inediti. Questo dipen¬de, credo, dallo snobismo dei tycoon italiani che si ringalluz¬ziscono se a intervistarli sono Le Monde o la Faz anziché uno dei quotidiani italioti di cui so¬no azionisti. Per il resto, il corri¬spondente straniero è a rimor¬chio della stampa nazionale, non solo per le notizie, che è lo¬gico, ma anche per l’interpreta¬zione, il che è deludente. La cir¬costanza lo rende quanto mai inutile ai miei occhi di italiano. Lui arriva qui con tutto il ba¬gaglio di pregiudizi, vecchi tal¬volta di secoli, che nel suo Pae¬se hanno su di noi.

Alcuni esa¬geratamente favorevoli: il bel¬paese, la brava gente, l’inge¬gno vivace ecc. Altri immarce¬scibilmente negativi: chiasso¬si, imbroglioni, corrotti ecc. L’ultimo luogo comune è quel¬lo del Berlusca mascalzone o, tutt’al più, marziano che do¬vrebbe risalire sul disco volan¬te e sparire. Il corrispondente che si attiene a questo brevia¬rio, non va oltre il palmo di na¬so e se, putacaso, in Italia acca¬de qualche novità nemmeno se ne accorge. Se poi vuole an¬dare controcorrente, si censu¬ra perché non è quello che i suoi lettori si aspettano da lui. Questo spiega gran parte del¬l’antiberlusconismo stantio delle corrispondenze estere. Nessuno che ci metta il cervel¬lo, analizzi la reale situazione italiana e spieghi perché da lu¬stri gli italiani continuino a vo¬tare il Cav nonostante trappole e scandali. Ne verrebbe un qua¬d¬ro inedito dell’Italia: quello di un Paese desideroso di molte li¬bertà che solo il Berlusca pro¬mette e che i suoi avversari boi¬cottano. I corrispondenti non capisco¬no un’acca di politica italiana e neanche ci provano. In parte è giustificabile. Il nostro linguag¬gio è ambiguo. Parliamo di Giu¬sti¬zia e invece ci riferiamo all’in¬giustizia della Giustizia. Per molti di noi un magistrato è un pm assatanato o una toga alla Nicoletta Gandus che su inter¬net maciulla l’imputato che do¬vrà giudicare ecc. Per un tede¬sco, un giudice è un giudice, os¬sia un pacato signore al diso¬pra delle parti. E allora quando dovrà riferire del Cav che si ri¬fiuta di farsi giudicare, il tede¬sco, avendo in testa la sua idea perfettina di giudice, scriverà un articolo indignato, dimo¬strando di non avere capito niente di ciò che accade in Ita¬lia. Di equivoci come questi ¬che scavano un fossato tra noi e l’osservatore estero - si po¬trebbero scrivere volumi. Limi¬tiamoci a dire che, brancolan¬do nel buio ma dovendo anche scrivere, l’inviato ha una solo strada: scegliere il giornale ita¬liano cui ispirarsi. Per illustrare ai connazionali un Paese labirintico vuole esse¬re chiaro e netto. Accantonerà perciò i giornali sfumati tipo Stampa o Messaggero e anche il Corsera troppo loffio. Gliene restano due fortemente schie¬rati, Repubblica a sinistra, il Giornale a destra.

Il corrispon¬dente tipo escluderà il Giorna¬le , non solo perché vicino al Ber¬lusca che è il demonio, ma an¬c¬he perché se il mondo va a de¬stra, l’opinione resta di sinistra. E poiché lui è politicamente corretto preferirà Repubblica , l’Espresso ,Annozero di cui rical¬cherà corrispondenze e panza¬ne.

E l’immagine dell’Italia gire¬rà il mondo in base al pennello degli Scalfari e dei Santoro.

Ovviamente questa pigrizia non è encomiabile, ma l’invia¬to¬ estero non avrà rimorsi di co¬scienza. Sforzarsi di capire l’Ita¬lia al di là del macchiettismo, per lui è tempo sprecato. Gli ita¬liani sono immoti, inassimila¬bili, ingovernabili. Bisognereb¬be, vivaddio, cambiarli! Que¬sto è, in fondo, quello che pen¬sa lo straniero che ci osserva. Tant’è che la stampa estera ha sempre auspicato per noi quel¬lo che non avrebbe mai voluto a casa propria. Nell’anteguer¬ra, ha tifato per il fascismo che ci avrebbe messo in riga; nel do¬poguerra per il Pci contro la Dc per la stessa ragione; ora sono per il giustizialismo, anche se gli farebbe orrore avere nei loro Paesi i giudici, le ispezioni cor¬porali e le intercettazioni che abbiamo noi.

Ci volete male egregi colle¬ghi? Ce ne faremo una ragione.

Il comportamento di Mario Baldassarri

Scritto da Bartolomeo Di Monaco

venerdì 04 febbraio 2011

Mario Baldassarri è il presidente della bicameralina che ieri ha pareggiato 15 a 15 sulla decisione che si doveva prendere per l’attuazione del federalismo.
Quando il risultato è di parità significa che la bicameralina si è espressa contro.Baldassarri è conteggiato ancora come esponente della maggioranza, nonostante sia all’opposizione e voti insieme con l’opposizione.
La maggioranza non si era preoccupata di riequilibrare la composizione della bicamerale, convinta che Baldassarre avrebbe saputo osservare un comportamento corretto, sapendo della sua posizione anomala.
Invece che ha fatto?
Anziché astenersi ha votato contro schierandosi con l’opposizione.
Ora non vi è chi non veda l’abuso e la scorrettezza.
Ho sentito che i due presidenti delle Camere intendono rivedere la composizione di tutte le commissioni, onde verificare se esse rispettino in termini proporzionali le rappresentanze politiche.
Il danno provocato dalla scorrettezza di Baldassarri è rimediabile, perché ho sentito dire che basterà che il governo comunichi ai due rami del parlamento l’emanazione del decreto legge sul federalismo, e tutto tornerà a posto. A quel punto è prevedibile che Napolitano non avrà più argomenti da opporre.
Tuttavia, il comportamento di Baldassarri ha in ogni caso complicato le cose e allungato i tempi. Non di molto, tuttavia ha mostrato che cosa si possa arrivare a compiere pur di intralciare l’azione di governo.
Ricordo che qualche giorno prima, la commissione chiamata a decidere sul caso Ruby ha visto Giovanni Consolo, del Fli, assentarsi al momento del voto, poiché il comportamento tenuto dal Fli gli sembrava un po’ troppo pretestuoso.
Avevo una certa stima in Baldassarri, ma non si finisce mai di stupirci. Tra lui e Bocchino chi riesce a vedere più la differenza?
Quello che ha combinato ieri è roba da prima Repubblica.

Il comportamento di Mario Baldassarri.

Scritto da Bartolomeo Di Monaco


venerdì 04 febbraio 2011

Mario Baldassarri è il presidente della bicameralina che ieri ha pareggiato 15 a 15 sulla decisione che si doveva prendere per l’attuazione del federalismo.
Quando il risultato è di parità significa che la bicameralina si è espressa contro.Baldassarri è conteggiato ancora come esponente della maggioranza, nonostante sia all’opposizione e voti insieme con l’opposizione.
La maggioranza non si era preoccupata di riequilibrare la composizione della bicamerale, convinta che Baldassarre avrebbe saputo osservare un comportamento corretto, sapendo della sua posizione anomala.
Invece che ha fatto?
Anziché astenersi ha votato contro schierandosi con l’opposizione.
Ora non vi è chi non veda l’abuso e la scorrettezza.
Ho sentito che i due presidenti delle Camere intendono rivedere la composizione di tutte le commissioni, onde verificare se esse rispettino in termini proporzionali le rappresentanze politiche.
Il danno provocato dalla scorrettezza di Baldassarri è rimediabile, perché ho sentito dire che basterà che il governo comunichi ai due rami del parlamento l’emanazione del decreto legge sul federalismo, e tutto tornerà a posto. A quel punto è prevedibile che Napolitano non avrà più argomenti da opporre.
Tuttavia, il comportamento di Baldassarri ha in ogni caso complicato le cose e allungato i tempi. Non di molto, tuttavia ha mostrato che cosa si possa arrivare a compiere pur di intralciare l’azione di governo.
Ricordo che qualche giorno prima, la commissione chiamata a decidere sul caso Ruby ha visto Giovanni Consolo, del Fli, assentarsi al momento del voto, poiché il comportamento tenuto dal Fli gli sembrava un po’ troppo pretestuoso.
Avevo una certa stima in Baldassarri, ma non si finisce mai di stupirci. Tra lui e Bocchino chi riesce a vedere più la differenza?
Quello che ha combinato ieri è roba da prima Repubblica.

COOP: Il "compagno" Fassino non ricorda, io si.

Scritto da Antonio Passaniti

sabato 05 febbraio 2011

Davanti ai giudici del caso Unipol Fassino non ricorda. Io invece sì.Negli anni 1987-1990 ho occupato una carica importante all'interno della galassia Coop. E proprio per le scoperte sconcertanti che feci in quel ruolo, lasciai il Pci, conscio del disastro prossimo venturo. Racconto solo un nanetto, per capirci. Nel 1989 andai a Mosca con un "personaggio" molto importante del gota comunista. L'obiettivo era aiutare la casa editrice (editori Riuniti) in crisi economica. Davanti al nostro stand ricordo la fila di editori provenienti da tutta la galassia russa.
A fianco a noi, però, c'era un bellissimo stand Fininvest. Così come in albergo la televisione mandava una "fiction" sulla mafia con Franco Nero: editore la Fininvest. Quindi:
A)-Berlusconi conosce e frequenta quel Paese da un bel po' di tempo…
B)-Quando io, in qualità di consulente sui mass media alle Coop, proposi loro di seguire l'esempio Fininvest (cioè televisioni commerciali) mi si rispose, con "snobismo al cachemire" sfogliando il cartaceo "Corriere della sera" ,che le tv commerciali erano unfit (inadeguate)…
C)- Rientrando a Milano, il grande personaggio del direttivo Pci, mi disse sconsolato:"Il Pci italiano è finito. Vai a vedere fra qualche anno, i redditi personali dei signori Veltroni, Fassino, Mussi,…
d)- Il compagno delegato alla gestione dei soldi dei compagni, mi disse sconsolato un giorno:"Se i compagni sapessero come vengono utilizzati i loro soldi, scenderebbero in piazza con i forconi".
Oggi il compagno Fassino, chiamato a rispondere sulla telefonata in cui dice."Abbiamo una banca" risponde semplicemente che non ricorda.
Io sì, e invito tutti, compresa mia figlia, a fuggire il più lontano possibile dall'inganno comunista.

venerdì 4 febbraio 2011

Il partito di Ruby Hood.

Scritto da Mario Sechi
giovedì 03 febbraio 2011

Il partito di Ruby Hood, tutto Bunga Bunga e Patrimoniale, vive momenti difficili. Finché Berlusconi cedeva alle sirene che gli consigliavano lo scontro totale con la magistratura e un’azione fuori dal profilo istituzionale, l’opposizione, i guardoni del Palazzo, i teletribuni e i giornali-partito avevano gioco facile nel dipingerlo come il dittatorello dello Stato di Bananas. Ma se ti trovi davanti un Cavaliere che plaude all’appello di Napolitano, trova un compromesso sul rilancio economico con Giulio Tremonti, va al Tg1 a parlare di politica e non di reggiseni e collant, allora la musica cambia. Berlusconi è in un videogame che presenta due schermate di gioco:
1. La prima schermata somiglia a un classico, «Space Invaders», in cui il Cav deve respingere gli assalti in massa della magistratura;
2. La seconda schermata è un raffinato gioco di strategia, un Risiko politico in cui le truppe parlamentari di Berlusconi sono un po’ più numerose di quelle dell’avversario, hanno buone probabilità di crescere, ma Capitan Silvio deve stare attento a non esaurire le scorte di cibo e munizioni perché è una campagna lunga.
In questo videogioco non si deve inseguire l’avversario, ma anticipare i tempi e fare in modo di essere seguiti. Per questo Berlusconi ha finalmente lasciato perdere le «piazzate» e ha ripreso in mano il timone del governo. Le reazioni dell’Agenzia Patrimoniale (Pd e alleati) al suo piano di rilancio della crescita economica sono il segnale che questa è l’unica strada possibile per salvare la legislatura.
Il videogame ha un altro elemento di difficoltà: la prima schermata, quella degli «Space Invaders» vuole cancellare la seconda, quella del Risiko politico. Ma tolta quest’ultima, Berlusconi non resta in gioco nella prima. Va direttamente in «game over». Ecco perché il Cav deve stare incollato alla PlayStation del Palazzo e continuare a fare politica. Altrimenti, vince il bizzarro partito di Ruby Hood.

Una campagna di "distrazione" di massa per nascondere l'operato del governo. L'opposizione piu' che il bene dell'Italia vuole "espellere" Berlusconi.

Il Globo & La FiammaAustralia

Venerdì 04 febbraio 2011

I soliti giornali insistono con la campagna di “distrazione” di massa “fantasticando” sulle vicende “private” di Silvio Berlusconi. Piu’ che “informare” i cittadini sull’intensa attività del governo, che non ha mai smesso di lavorare, preferiscono concentrasi su “puttanate” per incentivare la vendita dei loro giornali e per voler far intendere ai cittadini che “l’hobby” del Premier gli impediscono di governare con efficienza. Chi ha una connessione Internet, facilmente può consultare il sito www.governo.it e rendersi conto che il Governo sta marciando a pieno ritmo approvando, ogni giorno, leggi, provvedimenti e riforme come quella della scuola mentre, a giorni, presenterà quella fiscale, della giustizia, delle piccole e medie industrie ed altre. Tutta la classe politica, nessun schieramento escluso, sarà chiamata a collaborare e i cittadini si accorgeranno chi veramente vuole il “progresso” dell’Italia e chi, invece, vuole rimanere attaccato al “passato”. Chi vuole il “bene” dell’Italia e chi invece agisce soltanto per “eliminare” Berlusconi. Molti non capiscono che il Premier ha l’obbligo di governare fino a che avrà la fiducia del Parlamento. Nessuno capirebbe che, dopo sette voti positivi ottenuti (tra cui due fiducie) dal Parlamento negli ultimi due mesi, il governo si dimettesse. Berlusconi non teme le elezioni che vincerebbe, secondo tutti i piu’ recenti sondaggi, insieme con la Lega Nord. Il Premier e’ “strenuamente” impegnato per cercare di governare, ma se gli sarà impedito, si andrà al voto pur in un momento cosi’ delicato e questo “solo” e “soltanto” per l’irresponsabile ostruzionismo delle opposizioni. Se questa sarà la ragione per cui si andrà alle elezioni, e’ pacifico che Berlusconi le “stravincerebbe”: non c’e’ “bunga bunga” che tenga. In questo momento Silvio e’ la scelta “migliore” perché le altre sono “inaffidabili”. Sono anni che parliamo dei suoi “reati”, ma non c’e’ lo straccio di una sentenza, mentre l’opposizione non e’ riuscita a “presentarsi” come un’alternativa “credibile”. Neppure potrà vincere con la soluzione suggerita dal leader “minimo” D’Alema: un’armata “Brancaleone” che va dall’Idv al Terzo Polo. Il programma non c’e’, li terrebbe insieme solo l’odio per Berlusconi. Pensare che Silvio si suicidi o che lo “sbattano” in galera per sempre e’ da pazzi e da persone incapaci di vivere nella democrazia. Non si rendono conto che il loro “giustizialismo” convince gli italiani che Silvio e’ sempre migliore di loro. La sinistra e’ stracolma di “falliti” che campano solo grazie ai soldi della politica. Gente “vecchia” che continua a difendere ideologie morte e sepolte. Gente che nella loro vita non ha mai lavorato. Non parliamo poi di “Gianfrego”. Sul caso “Montecarlo” ormai c’e’ una mole di prove che non vi e’, in Italia e nel mondo, persona che non sia convinta che quella casa e’ del cognato. Fini aveva promesso di “dimettersi” se questo fosse stato accertato. Nicolo’ Vergata, in un suo articolo, ha messo in evidenza che il mancato adempimento di una promessa pubblica, oltre che implicare una responsabilità “etica”, costituisce anche la “violazione” dell’articolo 1989 del codice civile: “Promessa al pubblico”. Ma nessuno riuscirà a schiodare Fini dalla poltrona di Presidente della Camera. E’ evidente che utilizza una carica istituzionale, con quel che comporta in termini di visibilità e autorevolezza, per metterla a disposizione di un partito contro il Premier. Due dei tre “pollastri” Fi.Ca.Ru. (Fini, Casini e Rutelli) si sono riuniti a Todi per mettere in evidenza tutta la loro “inconsistenza”. Assenza “diplomatica” per Fini che ha capito che non sarà lui il “leader” del “pollaio”. A tutto questo si aggiunge la “boiata pazzesca” di una certa parte della magistratura. Se le loro accuse non fossero venute dopo un’infinita’ d’inchieste che da 17 anni vedono accusato Berlusconi di tutto e di piu’, certamente avrebbe trovato piu’ credibilità nell’opinione pubblica. I giornali “terroristi” continuando nella loro opera di “distrazione” di massa infatti non hanno scritto neppure un rigo su quando avvenuto il 25 gennaio. Presso la sala stampa di Palazzo Chigi, i ministri del Lavoro Maurizio Sacconi, dell'Istruzione Mariastella Gelmini e della Gioventù Giorgia Meloni, hanno illustrato i “primi risultati” del piano innovativo tra formazione e lavoro. Il piano “Italia 2020” e’ un progetto articolato tra scuola, formazione, università e mondo del lavoro, con fondi complessivi pari a un 1 miliardo e 82 milioni di euro. Suddivisi tra ministero del Lavoro (486 milioni), dell'Istruzione (492 milioni) e della Gioventù (104 milioni). “Italia 2020” ha per obbiettivo una “formazione consapevole” che aiuti i giovani ad effettuare le scelte per il futuro tenendo conto delle “esigenze del mercato del lavoro”. Il progetto“Italia 2020” mette i giovani prima di tutti. ”Italia 2020” e’ un piano per l’occupazione dei giovani attraverso l’integrazione tra apprendimento e lavoro, presentato dal governo il 28 settembre 2009. Sono tre i principali obbiettivi. 1) Facilitare la transizione dalla scuola al lavoro. Il passaggio tra scuola e mondo lavorativo e’ uno dei principali ritardi dell’Italia. Ciò e’ determinato dal fatto che la scelta, al termine della scuola superiore, si basa ancora oggi piu’ su una “preferenza personale” che su “l’orientamento” delle istituzioni scolastiche che debbono indicare gli sbocchi migliori sul mercato del lavoro. Un'altra questione, altrettanto preoccupante, e’ data dal “modo” della transizione tra scuola e università e poi tra università e lavoro, con una prevalenza di scelte “attraverso reti amicali (leggi: raccomandazioni) e informali che, non di rado, operano ai limiti della legalità”. E’ ancora bassa la percentuale di ragazzi che trovano lavoro tramite i centri pubblici per l'impiego e dalle agenzie private abilitate. Per determinare un’inversione di rotta, lo sforzo di “Italia 2020” si e’ concentrato sul potenziamento degli operatori per la formazione con un investimento di 14 milioni di euro per i progetti di consulenza di esperti del settore per meglio indirizzare i ragazzi. Tra le prime iniziative, il potenziamento del sistema informativo “Excelsior”. Non opererà piu’ con cadenza “annuale” e su base “regionale”, ma “trimestralmente” e a livello “provinciale”. Questo permetterà di seguire e rendere note le occasioni di lavoro piu’ richieste e remunerative. Viene potenziato il progetto di formazione all’estero “Erasmus Placement”, che permette ai ragazzi di compiere un apprendistato presso imprese straniere con un “borsa di studio” mensile pari a 600 euro, cui si aggiungono i contributi forniti dalla singole universita’ per un totale che può arrivare sino a 900 euro mensili. 2) Rilanciare il contratto di apprendistato. Contrariamente al passato, il progetto “Italia 2020” non vuole piu’ che l’apprendistato sia come una gavetta “sottopagata”, ma rappresenti uno strumento innovativo e funzionale, che permetta un’integrazione tra il sistema didattico/formativo ed il mondo del lavoro. In questa direzione va “Italia 2020”, che prevede l’obbiettivo di un apprendistato lavorativo già durante gli anni della formazione universitaria. Si fornisce alle imprese una maggiore flessibilità e selezione nella scelta dei loro futuri impiegati. Questa “flessibilità” permetterà a studenti/apprendisti e lavoratori un contratto piu’ snello e meno burocratizzato. In questo contesto si colloca anche il progetto “Campus Mentis”, iniziativa che sarà riservata ai 20 mila migliori laureati delle università italiane, i quali saranno messi da “subito” sotto contratto stabile dalle aziende. 3) Rilanciare l’istruzione tecnico/professionale. Per tutti gli anni ‘90 e per i primi anni 2000 si e’ assistito ad una costante diminuzione dei ragazzi iscritti agli istituiti professionali e tecnici, a tutto vantaggio dell’istruzione liceale, fino a giungere alla situazione dell'anno scolastico 2007/2008, che ha visto gli istituti professionali con il 13% degli iscritti, i tecnici con il 30,8% e licei con il 56,2%. E’ evidente che senza interventi strutturali questa differenza sarebbe stata destinata ad allargarsi sempre di più. Per scongiurare la “estinzione” dell'istruzione tecnico/professionale, il governo ha attuato, tramite “Italia 2020”, una serie di provvedimenti tra i quali la possibilità, di eliminare il “contributo d’istituto”, una vera e propria tassa. Il cambiamento di tendenza e’ sotto gli occhi di tutti: gli istituti professionali sono passati, in soli due anni scolastici, dal 13 al 14,4%, i tecnici dal 30,8% al 32,3%, mentre gli scritti ai licei sono scesi al 53,3%. Per incentivare gli studenti a preferire le materie scientifiche a livello universitario, e’ prevista l’eliminazione della seconda rata per gli studenti meritevoli di facoltà scientifiche. La Regione Sardegna concede un ulteriore incentivo prevedendo un contributo di 6 mila euro annui per gli studenti “fuori sede” di facoltà scientifiche. Scrivano i giornali di queste cose, che poi sono quelle che realmente interessano i cittadini, invece di fare morbosamente i “guardoni” dal buco della serratura.

giovedì 3 febbraio 2011

La Favola di Pierfrego e Gianfrego.

di Marcello Veneziani

Due orfanelli furono adottati da un re generoso, ma decisero di abbandonarlo. Dimostrando ingratitudine e scarsa furbizia politica.

C’era una volta un Re che si cresceva due delfini, Pierfrego e Gianfrego. Crebbero allo stesso modo, con la stessa statura, emiliani entrambi, anche la loro specialità era comune: la politica, e nemmeno il governo o l’amministrazione, ma proprio la politica parlante, tutta video e partito. Non avevano mai fatto altro nella vita che quello, la politica. Ma per il Re erano i suoi pupi e le sue pupille politiche, erano come per Cornelia i suoi Gracchi e lo affiancavano come due colonnine altoparlanti che sovrastavano lo stereo.
Trovatelli ambedue, Pierfrego aveva perduto la sua famiglia Diccì nel terremoto del ’92, denominato Mani Pulite; Gianfrego, orfano della famiglia Missì, aveva dato alle fiamme la casa paterna, ormai fatiscente. Furono adottati dal Re e portati alla reggia dove in un primo tempo concorsero ad accrescerla e in un secondo si fecero accidiosi, fino a remare contro. Dopo aver fatto le scuole materne insieme a un privatista irrequieto di nome Umberto, Pier e Gian in età scolare furono mandati a presiedere i parlamenti. Poi Pier decise di far fortuna lasciando la Casa e Gian decise di mettersi in proprio ma senza perdere le comodità della Casa.
Fu la prima volta che si separarono, e bisticciarono pure, ma come siamesi vissero la separazione come un trauma contronatura. Da tempo si mormora che marciano divisi ma colpiscono uniti, che hanno trescato con altri, Paolo il Mieloso, Luca il Montezuma e perfino Ciccio il Rutello, per far le scarpe al sovrano o più cautamente per succedere a lui. Sarà ma il problema è che le aspirazioni di entrambi si intralciano a vicenda. Però temono ambedue il Terzo Incomodo, dal Gran Ciambellano del Re al Gran Tesoriere di corte, ai gran governatori del Reame.
È comprensibile, più che comprensibile, il loro ammutinamento al Re che li ha cresciuti e adottati. I due ragazzi sono stanchi di fare i ragazzi, vogliono le chiavi di casa e magari sfrattare il padrone di casa; sono stanchi di dire grazie a chi li ha portati alla reggia, vogliono fare per conto loro e sentirsi Capi e non solo Capetti, sovrani e non principi azzurri o promessi sposi. E sono molto pressati e blanditi da amichetti volpini e istruttori potenti, che li portano in cielo ad ogni sberleffo che fanno nei confronti del Re e li riempiono di complimenti.
Tra i due, a dir la verità, c’è qualche differenza di metodo. In fondo Pier non è stato carino con il Sovrano ma è stato leale ad andarsene, perlomeno, mettendosi in proprio. E poi è stato leale con la sua famiglia di origine, non si è mai scordato di essere uno di loro, anzi. Gian, invece, spernacchia il Sovrano ma vive largamente a suo carico, e non è stato leale nemmeno con la sua famiglia d’origine; sarà perché viveva in una casa più povera e malandata, ma ha scontentato sia il sovrano che i suoi stessi parenti.
E ancora: Pier in fondo non ha cambiato le sue opinioni (dai, non chiamiamole idee) e la sua mentalità cristiana (su, non parliamo di valori). Gian, invece, ha cambiato radicalmente anche quelle e querela il se stesso di venti, di dieci ma anche di due anni fa. Dico le opinioni e le posizioni, mica le idee e i valori (dai non scherziamo). Ma è la politica, ragazzi, ed è inutile star lì a menarsela. È inutile invocare la gratitudine, che non è una categoria umana, figuriamoci se può essere una categoria della politica; ma se è inutile invocare la riconoscenza, superfluo è pure pretendere il riconoscimento, cioè la considerazione dei fatti e dei meriti. La politica non è abituata a questo, non si correla con la giustizia e nemmeno con la solidarietà o, per essere più ridicoli, con gli interessi supremi del paese. L’unica cosa che si può chiedere alla politica è un po’ di intelligenza applicata all’efficacia, quel che in versione plebea è la furbizia o l’opportunismo.
Beh, in nome di quella cosa lì, vorrei dire ai due ragazzi: giocate almeno la partita doppia, ovvero fate pure i vostri conti per il dopo, attrezzatevi per il nuovo giro. Ma in questi tre anni e mezzo che ci separano dalle votazioni politiche, lasciatelo governare, il vostro Re o il vostro Ex, se preferite. E sapendo che governa con un largo consenso popolare, cercate di non soffiare sulla fronda, di non trescare con i suoi nemici; cercate di capire, nel vostro interesse, e non nel suo, che per ereditare un domani il suo consenso dovete cercare più i motivi di continuità che di frattura e ora stargli più vicini.
Poi vi farete il vostro centro senza più il bipolarismo, o la vostra destra senza più la destra, insomma farete il vostro gioco. Ma nell’interesse vostro, non giocate questa partita contro di lui perché si ritorcerebbe contro di voi. Dispiace dirvelo, cari Pierfrego e Gianfrego, ma l’interesse vostro coincide con quello dell’Italia.

Ammettiamo che Berlusconi fosse stato affetto da priapismo.


Scritto da Bartolomeo Di Monaco
mercoledì 02 febbraio 2011

È davvero sconsolante che la politica si riduca a spiare nella camera da letto di un presidente del Consiglio per cercare di abbatterlo. Qualcuno ha fatto esempi di uomini politici che hanno avuto una vita privata assai più scandalosa di quella del premier.Se poi si va all’indietro nel tempo e ci si fermi sul grande Alessandro Magno, tutti sappiamo che conquistò il trono macedone uccidendo il padre. Eppure nessuno osa mettere in dubbio la grandezza di Alessandro.
Dico questo perché, da cattolico, non condivido il modo in cui Berlusconi conduce la sua vita privata. Ma non posso impedirglielo, perché, come ho già scritto, se ci inoltriamo nella sfera sessuale, non la finiremmo più e nessuno potrebbe mai trovare il bandolo della matassa. Ecco perché ciò che fa un uomo tra le quattro pareti domestiche deve restare riservato. La natura umana ha impresso su di noi un marchio unico e indelebile. Niente ce lo può sottrarre. Da esso è difficile liberarsi. Un uomo pubblico, perciò, dobbiamo giudicarlo per quanto fa o cerca di fare in aiuto della collettività.
Berlusconi non ha portato o esibito in piazza la sua vita privata.
L’ha portata in piazza, improvvidamente e orribilmente, Veronica Lario, che non aveva alcun diritto di farlo. È vissuta con il proprio marito e avrebbe dovuto tener riservata la sua sfera intima, e in specie quella sessuale. Ho scritto che i motivi per cui l’ha fatto si conosceranno più avanti nel tempo, ma nessuno di essi potrà mai giustificare la sua denuncia pubblica. Come se il marito fosse un pericoloso assassino. Spero che i tre figli di Veronica si ricordino che cosa la madre ha combinato in danno del loro padre. Dubito che Veronica Lario possa riuscire a dormire sonni tranquilli, e che la sua conoscenza non la divori.
In ogni caso, Berlusconi non ha esibito lui la sua vita privata. Gliel’hanno carpita. Nell’articolo linkato leggerete alcune rivelazioni inquietanti fatte da Luca Barbareschi, e finora non smentite dai magistrati, che aprirebbero a carico della magistratura un fronte di illegalità fino a ieri inimmaginabile.
Nel gossip della sua vita privata ci stiamo sguazzando, e dovremmo vergognarcene tutti.
Prendiamo il caso Ruby. Nonostante che la stessa Ruby abbia ammesso di non aver fatto sesso da minorenne con il premier, si continua ad accusare il premier di averlo fatto. Immagino che i pm abbiano una fotografia fin troppo eloquente a disposizione.
Ma ammesso pure che abbia fatto sesso con Ruby, una ragazza che, non dimentichiamocelo, dimostra più anni di quanti ne ha in forza della sua maturità fisica, mi domando perché, se la legge è uguale per tutti, non sono stati sottoposti ad indagini i molti che hanno utilizzato Ruby nelle sale di spettacolo, quando ancora era minorenne. E magari ci hanno pure fatto sesso. Non è difficile rintracciarli. Se non si indaga su di essi, mi si deve spiegare perché ci si accanisce soltanto contro Berlusconi, anche dopo che la stessa Ruby ha negato il contatto sessuale. C’è una sola risposta, ciò significa, contrariamente a quanto si rinfaccia a Berlusconi, che la legge non è uguale per tutti.
Vorrei sapere a chi interessa, poi, appurare se sia vero che intorno a Berlusconi si aggirassero, nel corso delle feste ad Arcore, giovani che danzavano e si facevano toccare dal premier. È un reato? Riguarda la sua vita sessuale dentro casa sua. E se davvero, affetto supponiamo da priapismo, avesse voluto per sé una ragazza ogni cinque minuti, ci interessa politicamente? Senza contare che Berlusconi è stato sottoposto a interventi alla prostrata e al cuore che escluderebbero certe performance. Non devono contare invece le sue azioni in politica? E in politica ha commesso reati?
In pubblico Berlusconi ha compiuto qualcosa di sconveniente tale da richiederne le dimissioni? Niente di tutto ciò. È più colpevole Fini che, da presidente della Camera, si è permesso di svendere una casa non sua ma di An, finita poi nella disponibilità e nella proprietà, come sembra ormai ufficializzato, del cognato.
Invece, sempre secondo il mantra ipocrita che la legge è uguale per tutti, il caso Fini sarà archiviato, con scorno della giustizia, e la esuberanza sessuale di Berlusconi, esibita nelle sue stanze private, sarà condannata.
Ammettiamo che, secondo quanto rivelato da Barbareschi, le spie o come cavolo volete chiamare gli aggeggi da 25 mila euro l’uno piazzati nella casa di Berlusconi, abbiano scattato una foto di Berlusconi che fa sesso con Ruby. Ora mi domando se Ruby deve esser vista come una ragazzina di 11 anni sedotta dal premier. Quando i fatti accadevano Ruby era vicina alla maggiore età (mancavano pochi mesi) e la sua esperienza sessuale era già consumata. Di anni ne dimostrava molti di più, e nessuno avrebbe potuto immaginare che sotto quella sua abilità nel mostrarsi si nascondesse una minorenne.
Non dobbiamo fare gli ipocriti. Ho la presunzione di credere che la minorenne Ruby abbia fatto sesso già prima di averlo consumato, eventualmente, con Berlusconi, e lo poteva fare perché solo la data anagrafica la faceva passare ancora, e per poco, come una minorenne.
Si deve far cadere un presidente del Consiglio per questo? Per essere stato ingannato da una minorenne dall’aspetto di maggiorenne? Si deve mandare all’aria la governabilità per questo? Una volta c’era la Ragion di Stato che ci salvaguardava da idiozie come questa. Una Ragion di Stato che si è persa per strada. La Ragion di Stato direbbe di no.
Se Berlusconi avesse violentato una donna, o avesse circuito una bambina di 12 anni capirei la violazione della legge. Ma nella fattispecie non esiste. Ruby è una donna a tutti gli effetti, e non dal maggio 2010.
Talvolta si deve applicare la legge con il buon senso, e il buon senso ci dice che una ragazza di 17 anni e mezzo come Ruby, se ha fatto sesso con Berlusconi, l’ha fatto da donna matura, nel pieno delle sue facoltà fisiche e mentali. Una donna disinibita, non nuova molto probabilmente a intrattenimenti dello stesso tipo.
Perciò, se la legge deve essere uguale per tutti, lo sia anche in questo caso.
E lo sia anche a riguardo della concussione addebitata al premier con la telefonata da lui fatta alla Questura di Milano.
D'ora in avanti (ma si indaghi anche per il passato) tutti coloro che hanno una carica di rilievo nello Stato si astengano dal fare solleciti o raccomandazioni. Ogni loro telefonata o ogni loro bisbiglio, per l'incarico elevato che ricoprono (parlamentari, magistrati, prefetti, sindaci, e così via), non potrà che interpretarsi come una concussione, anche se manca il concusso.
Proprio lo stesso trattamento che si cerca di fare a Berlusconi.

Il priapismo è un'erezione persistente e anomala (di durata superiore a 4 ore), spesso dolorosa, dei soli corpi cavernosi del pene, non accompagnata dal consueto desiderio sessuale o eccitazione che invece contraddistinguono la normale erezione maschile. La locuzione priapismo è talora impiegata, in modo più generico ma inesatto, come sinonimo di satiriasi.

La satiriasi è un termine usato in passato nella storia della medicina, indicante l'aumento in modo morboso dell'istinto sessuale nel maschio umano; il termine deriva dalla figura del satiro della mitologia greca. Alla satiriasi corrispondeva il concetto di ninfomania riguardante il femminile. Entrambi i termini non vengono più utilizzati a livello scientifico e sono stati sostituiti dal concetto di ipersessualità.

L'ipersessualita' e' un argomento spesso trattato dalla stampa, sia italiana che estera, anche perche' spesso si tende a conferire a tale manifestazione una base patologica. Al contrario l'eccesso di desiderio non e' legato a qualcosa di patologico, ma ad una necessita' personale di superare i confini della pura piacevolezza. In alcune situazioni si puo' manifestare, addirittura, un vero "disturbo del comportamento" che impedisce di coltivare relazioni affettive scatenando, invece, sensazioni di ansia. Cosi' alcuni soggetti hanno un bisogno sfrenato di fare sesso: lo consumano come se fosse una droga, senza gustarlo. In passato questa condizione e' stata variamente definita: iperedonismo, satiriasi, furore uterino e ninfomannia per le donne. Oggi si tende a definirla sindrome compulsiva sessuale, bulimia sessuale e sesso dipendenza. Questi termini vengono utilizzati per definire un soggetto la cui attivita' sessuale o anche solo i suoi impulsi sessuali sono considerati al di sopra della norma. Certamente non si tratta di termini significativi dal punto di vista scientifico; infatti, definire il confine tra un atteggiamento sessuale "vivace" ed uno patologico non e' semplice, e molto spesso il giudizio e' influenzato da componenti culturali e psicologiche. Quando gli impulsi sessuali e le attivita' ad essi collegati interferiscono con lo svolgimento della propria esistenza, i rapporti sono dettati da pulsioni fisiche, non c'e' alcun tipo di coinvolgimento emotivo e nonostante i frequenti orgasmi non si riesce ad essere soddisfatti, allora ci si trova in un ambito patologico, ed e' necessario rivolgersi ad un professionista. In termini scientifici non dovremmo definire questa sindrome come una devianza o deviazione, tantomeno una perversione, bensi' una parafilia. La pulsione inevitabile che assale improvvisamente e che deve trovare al piu' presto una via di sfogo, e' simile alla dimensione psicologica di quelli che sono dipendenti da droga o che soffrono di bulimia nervosa. Questo bisogno sfrenato, nasce da un sentimento di vuoto che non puo' essere appagato se non con qualche stratagemma pratico. Oltre a motivi psicologici, a bisogni profondi ma insoddisfatti, si ipotizzano anche cause di natura biologica, cosicche' le terapie da seguire risultano spesso tecniche combinate, psicologiche, comportamentali o psicoanalitiche e farmacologiche.

Parafilia (dal greco para παρά = "presso", "accanto", "oltre" e filia φιλία = "amore", "affinità") si intende quell'insieme di manifestazioni della sessualità umana, rivolte a comportamenti o situazioni non direttamente connessi al fine riproduttivo tipico del sesso tradizionale, caratterizzate dall'aspetto di dipendenza ossessiva-compulsiva. In mancanza di questi due specifici elementi, simili attività vengono considerate soltanto inusuali, senza necessariamente implicare che esse siano "sbagliate" o "malate".

Il Pubblico Ministero Ilda Boccassini nel 1982 fu protagonista di un episodio boccaccesco, ma fu assolta.

La doppia morale della Boccassini

di Anna Maria Greco

Nel 1982 la Boccassini venne sorpresa in "atteggiamenti amorosi" con un giornalista di Lotta Continua. Davanti al Csm si difese come paladina della privacy. E fu assolta. Ora fruga nelle feste di Arcore ma allora parlò di "tutela della sfera personale"


Ve la immaginate l’agguerrita pm dello scandaloso «caso-Ruby», che ha frugato nelle feste di Arcore e ascoltato le conversazioni pruriginose delle ragazze dell’Olgettina, nelle vesti della paladina della privacy?
Eppure, per difendere se stessa al Csm da accuse boccaccesche, che definisce «un’inammissibile interferenza», Ilda Boccassini dichiara: «Sono questioni che attengono esclusivamente alla sfera della mia vita privata, coperta, come tale, da un diritto di assoluta riservatezza».
Succede molti anni fa, nel 1982, quando l’allora giovane sostituto alla Procura di Milano viene sottoposta a procedimento disciplinare. L’accusa, si legge negli atti del Csm, è di «aver mancato ai propri doveri, per aver tenuto fuori dell’ufficio una condotta tale da renderla immeritevole della considerazione di cui il magistrato deve godere, così pure compromettendo il prestigio dell’ordine giudiziario».
Diciamo subito che, l’anno dopo, la Boccassini viene assolta a palazzo de’ Marescialli. E proprio in nome della tutela alla riservatezza della vita personale.
La sezione disciplinare del Csm, infatti, «nel ribadire il proprio orientamento in materia di diritto alla privacy del magistrato, ritiene che il comportamento della dottoressa Boccassini non abbia determinato alcuna eco negativa né all’interno degli uffici giudiziari, come provano le attestazioni dei colleghi della Procura, né all’esterno».
Il fatto di cui si parla appare banale, perché riguarda abbracci e baci con un uomo per strada, a due passi dal Palazzo di Giustizia. «Atteggiamento amoroso», lo definiscono con scandalo nel rapporto di servizio due guardie di scorta ad un pm aggiunto della Procura.
Il «lui» in questione non è uno sconosciuto, ma un giornalista di «Lotta continua», accreditato presso l’ufficio stampa del tribunale. Salteranno fuori altri episodi e si parlerà anche di rapporti con un cronista dell’Unità.
Il tutto va collocato in un contesto preciso: quello degli Anni di piombo, di scontro, tensioni, sangue e forte militanza politica anche da parte di magistrati e giornalisti sulla linea che lo Stato doveva tenere verso i terroristi. Poco prima di questi fatti, nel 1979, uno dei pm di Milano e cioè Emilio Alessandrini, era stato ucciso da esponenti di Prima linea mentre andava a Palazzo di Giustizia.
Lo ricorda il Procuratore capo Mauro Gresti, quando si decide a segnalare la questione e a chiedere il trasferimento d’ufficio della Boccassini, parlando di altri episodi «disdicevoli» dentro la Procura, legati a «presunti comportamenti illeciti», tra l’autunno 1979 e l’inverno 1980, che prima non aveva denunciato.
A segnalare incontri molto ravvicinati, violente liti, riunioni serali in ufficio erano stati un ex-carabiniere addetto alle pulizie e un tenente colonnello dell’Arma.
Gresti sottolinea che a farlo muovere non fu tanto «lo sconcerto procuratomi dall’esibizione di affettuosità più consone all’intimità di quattro mura che alla pubblicità di una via, ma piuttosto lo sconcerto per la constatazione che l’oggetto delle affettuosità della Boccassini era una persona solita a frequentare gli ambienti della Procura di Milano per ragioni della sua professione giornalistica». Una persona che più volte aveva «manifestato il proprio acido dissenso verso la linea della fermezza adottata dai magistrati della Procura nella lotta al terrorismo e alle sue aree di supporto», con un «atteggiamento di critica preconcetta all’operato delle istituzioni». Sembra che il Procuratore si preoccupi di legami personali che possano favorire fughe di notizie o, addirittura, l’ispirazione di articoli e campagne di stampa contro il suo ufficio. In particolare, critica la politicizzazione di magistrati come la Boccassini (già allora aderente alla corrente di sinistra Magistratura democratica), che avevano anche sottoscritto un documento di solidarietà per un imputato di terrorismo che, con lo sciopero della fame, chiedeva di essere trasferito in un carcere normale. E contro le carceri speciali, sottolinea il Procuratore allegando alcuni articoli, contemporaneamente scriveva anche il giornalista amico di Ilda.
Per Gresti, quell’iniziativa dei pm era stata «un proditorio attacco all’atteggiamento di intransigente e ferma lotta all’eversione proprio dei magistrati dell’ufficio stesso che trattavano di terrorismo, nonché una chiara manifestazione di dissenso dalla loro linea, del tutto inopportuna e tale da poter sottoporre a pericoli la loro incolumità personale». In sostanza, dice con durezza il Procuratore, va bene la libertà d’opinione, ma così si poteva anche involontariamente «additare come obiettivi da colpire i magistrati impegnati nella difesa intransigente delle istituzioni». E qui Gresti ricorda proprio Alessandrini, «barbaramente trucidato dai terroristi in un vile attacco».
Questa lettera al Procuratore generale della Cassazione e al Pg della Corte d’appello è del giugno 1982, mentre si celebra il processo disciplinare iniziato a dicembre, che si concluderà con l’assoluzione. È provocata dall’iniziativa di 27 pm (c’è anche Alfonso Marra, quello dimessosi per la P3), che a marzo insorgono in difesa della Boccassini, «ingiustamente offesa anche nella sua dignità di donna» anche da una «pubblicità di per se’ umiliante». Parlano di «pettegolezzo» che incide nella «sfera della riservatezza personale» e di rischio per tutti di «inammissibile interferenza nella vita privata».
Il primo a firmarla è Armando Spataro, collega della Boccassini alla Procura e suo difensore a Palazzo de’ Marescialli. È lui a redigere la memoria difensiva dell’aprile ’82, in cui spiega che la pm non è voluta entrare nel merito delle accuse rivoltele in nome della privacy, ritenendo «umiliante» dover spiegare e giustificare rapporti personali con un giornalista, di cui Spataro difende la correttezza. E aggiunge: «Il concreto esplicarsi della vita privata del magistrato, come quella di ogni cittadino, non può essere soggetto a limiti o divieti precostituiti per legge». Dunque, non può essere sanzionato alcun rapporto personale con persone che lavorano nello stesso ambito. Sempre che non si arrivi a comportamenti scorretti, come «la rivelazione ad un giornalista di notizie coperte da segreto istruttorio». La difesa non convince e c’è il rinvio a giudizio della Boccassini.
Ma il Pg della Cassazione, Sofo Borghese, chiede la «perentoria censura» con il trasferimento, non per questioni di sesso, moralità o decoro. Per lui i comportamenti del pm sono gravi «non certo per il compiaciuto scambio di vistose affettuosità» vicino al Palazzo di Giustizia, ma perché l’altro è un giornalista accreditato al tribunale. «Intuibili perciò - afferma il Pg - le facili battute, il pettegolezzo spicciolo, le maliziose insinuazioni e, soprattutto, il sospetto - fondato o meno non importa - nell’ambiente giornalistico, forense o in altri a questi vicini, che la pubblicazione di talune notizie possa ricollegarsi a privilegiate confidenze». Per Borghese «urge» intervenire, per «evitare prevedibili intollerabili malintesi o capziose strumentalizzazioni tali da non consentire di amministrare giustizia nelle condizioni richieste dal prestigio dell’ordine giudiziario». Il sostituto pg Antonio Leo sostiene l’accusa, si svolge l’istruttoria, si ascoltano i testi, si ricostruiscono altre vicende. Tutto per appurare se il pm ha tenuto «in ufficio o fuori una condotta tale che comprometta il prestigio dell’ordine giudiziario». Per smontare il capo d’accusa, Spataro fa stralciare gli altri episodi e sostiene che si tratta solo di un fatto privato che non si è svolto «secondo modalità illecite o anche solo sconvenienti». È «non soltanto perfettamente lecito, ma anche assolutamente normale». La sentenza di assoluzione della sezione disciplinare del Csm, guidata dal vicepresidente Giancarlo de Carolis, arriva ad aprile ’83.

mercoledì 2 febbraio 2011

I due dell'apocalisse democratica

Mentre l'ammucchiata anti-Berlusconi proposta da D'Alema ha già perso un pezzo e mezzo, dopo il no secco di Di Pietro e la solita spaccatura dentro Fli, Bersani non si è fatto mancare nulla perdendo le primarie anche a Cagliari.
Insomma, l'accoppiata D'Alema-Bersani - la mente e il braccio dell'agognata riscossa del Pd - sembra, più che una falange politica, una riproposizione grottesca di figure letterarie come Don Chisciotte e Sancho Pancia o, in modo forse più calzante, di personaggi dell'avanspettacolo come i fratelli De Rege. Da quando ha ripreso in mano le redini del partito, infatti, la strana coppia non ne ha mai azzeccata una.