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venerdì 20 dicembre 2013

Il "rottamatore" gia' quasi "rottamato"



Giampiero Pallotta
venerdi, 20 dicembre 2023

Renzi è già svaporato, come si sospettava. Ora accetta i tempi lunghi imposti da Napolitano e sarà presto cotto in padella. I suoi "proclami" sono diventati ridicoli. Si possono "stiracchiare" in qualsiasi direzione e lui non pare l’uomo giusto per imporre alla politica italiana un percorso deciso e rapido. 
L'elezioni non ci saranno in primavera 2014, quindi lui sara'  "stracotto". Sotto la padella la fiamma è ormai alta, la frittura, tutta bruciacchiata, è già da buttare.
Renzi grida ai quattro venti che vuole realizzare questo e quest’altro. Sai in quanti (Berlusconi in primis) l’hanno detto prima di lui? La speranza, questa volta, era che non si facesse irretire dalle lungaggini tipiche della politica italiana che lui voleva rottamare, e che, invece, già è vicina a rottamare lui.

martedì 17 dicembre 2013

Puntare tutto su una persona


  
 
Ernesto Galli Della Loggia
Martedì, 17 Dicembre 2013 .
      
Corriere della Sera - La crisi economica sta spingendo la politica italiana in una direzione molto precisa: verso un’oggettiva accelerazione del processo di personalizzazione. Soprattutto per due ragioni: perché fino ad ora tale processo - checché se ne sia detto a proposito del berlusconismo - non era ancora andato molto innanzi, ma soprattutto perché da noi più che altrove (eccezion fatta per la Grecia) la crisi economica sta prendendo il carattere di un’aspra crisi sociale. Cioè di una radicale messa in discussione dello status di milioni di persone: percepita in modo tanto più doloroso quanto più elevato era il livello precedente di garanzie e di benefice.
In una situazione del genere è naturale che si diffondano sentimenti individuali e collettivi di incertezza e di timore. Non si è più sicuri di ciò che si è e di ciò che si ha, di ciò che può riservare il futuro. Appaiono in pericolo i progetti di vita e i mezzi necessari a realizzarli (la piccola rendita finanziaria, il mutuo per la casa, l’avere un figlio, la pensione). Domina una sensazione angosciosa d’instabilità.
Sono queste le condizioni psicologiche ideali perché cresca la domanda di una guida, di un orientamento autorevole, di qualcuno che indichi la via per uscire dal tunnel. Non inganni il mare di discorsi sulla presunta ondata di antipolitica. È vero l’opposto: nei momenti di crisi come quello che attraversiamo cresce sì, e diviene fortissima, la critica alla politica, ma a quella passata (che le oligarchie intellettuali vicine al potere scambiano appunto per antipolitica tout court ), mentre invece diviene ancora più forte la richiesta di una politica nuova e diversa. Sotto la forma, per l’appunto, di una leadership all’altezza della situazione. Di qualcuno che sappia indicare soluzioni concrete ma soprattutto sia capace di suscitare un’ispirazione nuova, di infondere speranza e coraggio, di alimentare - non spaventiamoci della parola - anche una tensione morale più alta: quella che serve a restituirci l’immagine positiva di noi stessi che la crisi spesso distrugge.
La leadership in questione però - ecco il punto - può essere incarnata solo da una persona, da un individuo, non da una maggioranza parlamentare o da un’anonima organizzazione di partito: due dimensioni che in Italia si segnalano da decenni solo per la loro irrisolutezza e la loro sconfortante modestia. La personalità, invece, è sempre stata, e sempre sarà, pur nella sua inevitabile ambiguità, la risorsa ultima e maggiore della politica: proprio perché nei momenti critici, delle decisioni ultimative, è unicamente una persona, sono le sue parole e i suoi gesti, il suo volto, che hanno il potere di dare sicurezza, slancio e speranza. Nei momenti in cui molto o tutto dipende da una scelta allora solo la persona conta.
L’opinione pubblica italiana si trova oggi precisamente in questa situazione psicologica: è alla ricerca di qualcuno a cui affidare la guida del Paese, di qualcuno che mostri la volontà di assumersi questo compito, di avere la capacità e il senso del comando, l’autorevolezza necessaria. È una ricerca, un’attesa, così acute, nate da un sentimento di frustrazione e di esasperazione ormai così vasto e profondo, da rendere quasi secondarie le tradizionali differenze tra destra e sinistra, essendo chiaro che a questo punto ne va della salvezza del Paese, cioè di tutti. Dietro l’ascesa di Matteo Renzi, e a spiegare l’atmosfera elettrica che sembra accompagnarlo ovunque, c’è un tale sentimento. Così forte tuttavia - e questo è il massimo pericolo che egli corre - che alla più piccola smentita da parte dei fatti esso rischia tramutarsi in un attimo nella più grande delusione e nel più totale rigetto.

sabato 7 dicembre 2013

La credibilita' perduta

  
 
Fabio Raja
Venerdì, 06 Dicembre 2013
 
In un  editoriale di qualche giorno fa del Corriere della Sera, ripreso anche da questo Blog, il Prof. Angelo Panebianco ha, tra le altre cose, criticato il voto con cui il Senato ha deliberato la decadenza di Silvio Berlusconi dalla carica di Parlamentare ricordando che analogo pensiero era stato espresso il giorno precedente da Sergio Romano in risposta ad una lettera di una Parlamentare Australiana di origine italiana che si complimentava per coraggio mostrato dai nostri Senatori nell’espellere un personaggio “tanto potente”.
Nella sua risposta l’Ambasciatore Romano, dissentendo dalla sua interlocutrice, ha definito quel voto un violazione del “galateo politico”. Ci rallegriamo, naturalmente, che due osservatori tanto autorevoli ed equilibrati esprimano oggi le loro perplessità su quanto accaduto, anche se sarebbe stato più utile e coraggioso sollevare la questione prima e non dopo che il patatrac si consumasse. Ma forse lo hanno fatto e mi è sfuggito.
Utile perché così importanti pareri se pronunciati per tempo avrebbero forse potuto indurre nel PD un ripensamento e a stimolare una discussione che invece non c’è stata a parte qualche isolata voce dissenziente subito rabbiosamente zittita.
Il centrosinistra è stato così lasciato solo nella convinzione che votare per la decadenza fosse giusto oltre che inevitabile. Peggio che solo, era in compagnia dei Grillini che di galateo, e non solo di quello politico, sono tragicamente digiuni.
Potrebbe, a questo punto, apparire ozioso tornare sulla caso e tuttavia lo facciamo convinti che, come ha previsto Panebianco, quel voto avrà pesanti conseguenze sul futuro dell’Italia.
In questi mesi si è sentito ripetere di continuo che la legge è uguale per tutti perciò non si poteva riservare un trattamento diverso al Cavaliere.
Dal punto di vista giuridico non c’è dubbio che i Tribunali debbano trattare allo stesso modo il potente e il poveraccio. Ma quello che si chiedeva al Senato non era una valutazione giuridica, che non è nelle sue competenze ma “politica” essendo il Senato della Repubblica un organo politico.
Sotto questo punto di vista il concetto “siamo tutti uguali” non vale, o almeno in misura minore, essendo incommensurabilmente diverso il peso di un politico qualsiasi da quello del Cavaliere, leader indiscusso di una forza politica da vent’anni è punto di riferimento di milioni di elettori.
La decapitazione del capo di una parte politica attraverso il voto di Senatori che fanno parte di partiti avversari non suona affatto bene ed evoca scenari più simili a paesi sud Americani che non ad una democrazia matura.
La democrazia che, come ha detto argutamente Panebianco, è un oggetto molto delicato, deve essere maneggiato con riguardo e delicatezza. Una cura che avrebbe dovuto suggerire ai Senatori del PD una prudenza straordinaria ed una scrupolosa applicazione di tutte le garanzie perché non vi fosse nemmeno la più piccola ombra, il più remoto dubbio che quel voto fosse “inquinato” dal risentimento e dall’animosità verso l’antico avversario.
Sul quel voto, purtroppo, non incombe solo un’ombra ma una vera e propria tenebra dal momento che, ignorando i richiami di Violante e di illustri Costituzionalisti, non si è voluto sentire il parere della Corte Costituzionale e poi, contravvenendo ad una prassi lungamente consolidata del Parlamento Repubblicano, si è imposto il voto palese.
Il PD ha voluto declassare quel voto a “mero automatismo” quasi che la Legge Severino imponesse la decadenza in modo meccanico. Se così fosse  non avrebbe richiesto il voto della Giunta e quello dell’Aula, ma al più una semplice presa d’atto, come avviene per l’interdizione a seguito di una condanna penale che espelle il Parlamentare senza che vi sia alcun pronunciamento nè in Aula nè in Giunta.
Sul partito che caccia dal Parlamento l’avversario politico storico senza assicurargli almeno il doppio delle garanzie che avrebbe usato nei confronti di un proprio iscritto grava e graverà per molto tempo una macchia che, come ha detto Violante, si chiama credibilità.

sabato 30 novembre 2013

Tutti quelli che si vantano: Berlusconi l'ho ucciso io

Dai politici alle toghe ai giornalisti: adesso c'è persino la gara tra chi vuole attribuirsi la decadenza di Berlusconi

 
 
La sconfitta, diceva John Keats, è orfana; mentre la vittoria ha moltissimi padri. Il meno che ci si potesse aspettare, quindi, era la fila allo sportello dell'anagrafe dei presunti papà ansiosi di registrare a proprio nome quella discutibilissima vittoria che per una parte dell'Italia rappresenta l'espulsione di Silvio Berlusconi dal Senato della Repubblica.
 
Poi magari una pernacchia seppellirà questa sfilza di tristi sciacallini, e la vittoria diventerà soltanto di Pirro.  Ma intanto va così.
Eccoli, i papà della «grande cacciata». L'elenco è lungo, mettetevi comodi. Si potrebbe partire da Marco Travaglio, che è là che alza la manina, non sta nella pelle. «Se ieri per la prima volta nella storia il Parlamento ha espulso un pregiudicato - scriveva ieri sul Fatto Quotidiano - il merito (...) è anzitutto (di) un pugno di giornalisti, alcuni dei quali scrivono su questo giornale». E a proposito di quotidiani, it's party time sulle pagine di Repubblica, il giornale con più lunga militanza antiberlusconiana. Che celebra un po' prematuramente la chiusura di un ventennio con un lungo coccodrillo in vita firmato Filippo Ceccarelli.
Ecco venire avanti una schiera di magistrati, in testa Antonio Esposito, il presidente della sezione feriale della Corte di Cassazione che ha messo il turbo al processo Mediaset confermando la condanna per frode fiscale a carico del Cav. Ieri Dagospia avvistava Esposito col collega Piercamillo Davigo allo Splendor Parthenopes, locale partenopeo a pochi metri dal Palazzaccio, sede della Cassazione. Il clima pare fosse ilare. E chissà che non sia stata stappata una bottiglia per un brindisi aumm' aumm'. Ma altre toghe possono disporre sul caminetto la testa del Cav come trofeo di caccia. Elenca Travaglio: «Il tanto bistrattato pm Fabio De Pasquale, i collegi di tribunale e d'appello presieduti da Edoardo d'Avossa e Alessandra Galli, che hanno condotto indagini e dibattimenti sul caso Mediaset con fermezza e correttezza».
Ecco che s'avanza Beppe Grillo a rivendicare la sua fetta di merito: il voto palese «sulla decadenza del senatore Silvio Berlusconi» è stato strappato «grazie al M5S», si legge sul blog del comico. Poi in aula è stata Paola Taverna a vantarsi fiera: "Ci siamo ripresi un potere che era stato strappato ai cittadini e ha Berlusconi lo sputo." E Pietro Grasso, presidente del Senato? Ha pronunciato la decadenza di Berlusconi, ma soprattutto fino all'ultimo ha obliterato lo stravolgimento delle regole stabilito dalla giunta per le elezioni con la scelta del voto palese che ha costretto i senatori al rispetto della disciplina di partito. «Io sono un arbitro», ha ripetuto più volte Grasso. Saremo buoni e gli risparmieremo la moviola. E a proposito di figure formalmente terze, se non padre almeno nonno della decadenza del Cav è pure il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il custode delle larghe intese che però sembra intenzionato a sopravvivere allo svuotamento delle stesse. È lui che molti indicano come il mandante dell'esecuzione di Berlusconi: obiettivo raggiunto e fedina penale pulita. Tra i tanti mezzucci impiegati, quello di nominare un pugno di senatori a vita antiberlusconiani, alcuni dei quali hanno scoperto solo mercoledì l'indirizzo di Palazzo Madama, servendo il loro voto.
E poi c'è Enrico Letta, il premier che nel giorno dello sbianchettamento del Cav ha pensato bene di celebrare i risultati del suo governo e dire ai quattro venti: «Ora siamo più forti». C'è il segretario pro tempore del Pd Guglielmo Epifani che si bulla di aver affermato «lo stato di diritto e il suo principio base, ovvero che la legge è uguale per tutti». C'è perfino Mario Monti a gonfiare il petto: «Non è stata la sinistra, non è stato il M5S a portare a questo fatto riguardante il senatore Berlusconi - dice l'ex premier con sintassi rivedibile - a è stato un governo di grande coalizione, che io presiedevo, sul finire del 2011». E anche Paola Severino, ministro della Giustizia di quel governo, può gloriarsi di aver battezzato la legge che è costata a Berlusconi lo scranno di Palazzo Madama. «Una legge giusta», ripete come un mantra. Lo dirà la Corte Costituzionale.

venerdì 29 novembre 2013

Il sangue del vinto ma non arreso

   


Mercoledì, 27 Novembre 2013 

I dirigenti del Partito Democratico, renziani o cuperliani che siano, non si pongono neppure il problema delle conseguenze della decadenza di Silvio Berlusconi. Sono troppo inebriati dalla possibilità di salutare l’8 dicembre agitando la testa dell’odiato avversario storico sulla picca della loro intransigenza.
E non si rendono minimamente conto che non aver lasciato alla magistratura ordinaria il compito di cacciare il Cavaliere dal Parlamento e di aver compiuto ogni sforzo per assumerne la titolarità strappandola addirittura al Movimento Cinque Stelle, costituisce un atto che si ritorcerà gravemente sul loro partito e sull’intero Paese. In passato, l’aver sparso il sangue dei vinti rivendicandolo come atto di suprema giustizia rivoluzionaria ha alimentato per generazioni nella stragrande maggioranza dell’opinione pubblica nazionale un fortissimo pregiudizio nei confronti dell’affidabilità di governo della sinistra italiana.
Non è senza significato se il primo ed unico esponente della sinistra di discendenza comunista (Massimo D’Alema) è entrato a Palazzo Chigi non in seguito al risultato elettorale ma grazie ad un complotto di Palazzo ordito da un democristiano (Francesco Cossiga) in nome e per conto della Nato. E non dipende dal destino cinico e baro se a Palazzo Chigi oggi sieda un post-democristiano come Enrico Letta e non un post-comunista come Pierluigi Bersani e che il quasi sicuro segretario del Pd sia un altro post-democristiano come Matteo Renzi e non un post-comunista come Gianni Cuperlo.
La maledizione del sangue dei vinti non si è ancora estinta. Ed è facile prevedere che invece di venire dimenticata dal passare degli anni possa essere alimentata dal sangue metaforico di un vinto che però non si arrende e farà di tutto per rivendicare la sua innocenza e prendersi la sua rivincita. Può essere che i dirigenti del Pd se ne infischino di una conseguenza del genere e che siano soddisfatti, come già in passato, del consenso euforico del nocciolo duro dei propri militanti. Ma un partito che, come ha ricordato D’Alema, esprime il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio, il Presidente del Senato ed a mezzadria con Sinistra Ecologia Libertà anche quello della Camera, non può ignorare le conseguenze internazionali dell’espulsione dal Parlamento dell’unico leader di opposizione presente nelle assemblee rappresentative.
Forse la Merkel ne sarà rassicurata, come ha cercato di sostenere Enrico Letta e forse i banchieri inglesi e tedeschi brinderanno all’eliminazione del pericoloso nemico. Ma sotto i festeggiamenti di chi ha interessi e pregiudizi antitaliani incomincerà fatalmente a circolare il sospetto che il nostro Paese si sia incamminato sulla scia di quelle repubbliche post-sovietiche dove i leader dei partiti all’opposizione si sbattono in galera accusati di reati comuni. Non si tratta di un sospetto da poco.
Perché non è da poco caricare un Paese, che già viene visto con gli occhiali degli antichi pregiudizi, del peso dell’etichetta di una democrazia debole dove chi sta al potere cerca di eliminare il principale avversario sbattendolo ai servi sociali grazie ad una magistratura politicizzata. Giorgio Napolitano, che tanto si preoccupa della credibilità internazionale dell’Italia, farebbe bene a porsi il problema. Dalla prossima settimana il nostro Paese sarà più simile all’Ucraina che alle democrazie europee!

Perseguitato da vent'anni

Il saluto di Berlusconi ai suoi elettori


27 novembre 2013

(da “Dagospia”, 27 novembre 2013)

berlusconi-saluta- da Dagospia



Perseguitato da vent’anni

di Simone Di Meo – Luca Rocca
da “Il Tempo”, 27 novembre 2013

Ecco i numeri incredibili (mai calcolati prima, giorno dopo giorno) della più grande persecuzione giudiziaria di tutti i tempi che, almeno politicamente, si conclude oggi con il voto sulla decadenza: in vent’anni, Silvio Berlusconi ha affrontato 34 processi rispondendo di 40 diversi capi di imputazione. Il dato non tiene conto delle decine di inchieste (anche per diffamazione) aperte in ogni angolo del Paese, e anche all’estero, cavalcate mediaticamente e politicamente contro di lui, su ipotesi di reato poi crollate nel nulla. Di tutto questo accanimento dimenticato trovate la prova in queste pagine. Le procure di mezz’Italia non gli hanno risparmiato nulla: corruzione, falso in bilancio, concorso esterno mafioso, riciclaggio, concorso in stragi, frode fiscale, corruzione giudiziaria, finanziamento illecito ai partiti, appropriazione indebita, aggiotaggio, insider trading, rivelazione di segreto d’ufficio, concussione, favoreggiamento della prostituzione minorile, abuso d’ufficio, vilipendio all’ordine giudiziario e induzione a rendere false dichiarazioni all’autorità giudiziaria. Sei procedimenti sono ancora in corso a fronte di 14 archiviazioni, 8 assoluzioni, 1 proscioglimento, 5 prescrizioni, 1 amnistia e 2 fascicoli depenalizzati. Pure la magistratura spagnola l’ha messo sott’inchiesta (archiviata) per la vicenda TeleCinco. Dal 1995 ad oggi, il Cav è stato condannato tre volte, e solo recentemente, a fronte di processi discussi e discutibili, e con una rapidità senza precedenti: in primo grado a 7 anni di reclusione per prostituzione minorile e concussione (Ruby), sempre in primo grado a 1 anno per l’affaire Unipol, e in Cassazione a 4 anni per frode fiscale (Mediaset). È il premier che col suo governo ha raggiunto i maggiori risultati nella lotta al crimine organizzato (incluso l’inasprimento del carcere duro) ed è stato il bersaglio dei pentiti di mafia che lo hanno citato in centinaia di verbali accusandolo di ogni nefandezza, dall’aver trafficato e usato droga per assunzioni personali oltre ad aver comprato partite di calcio Champions, dalle stragi di mafia alla nascita del suo impero dovuto ai suoi contatti con le vecchia e nuova mafia. È stato intercettato in violazione delle prerogative parlamentari anche quand’era premier. Hanno ficcato il naso nella vita privata sua e dei suoi figli. Una gigantesca caccia all’uomo come non se ne sono mai viste al mondo.
L’elenco di 20 anni di accuse -1

L’elenco di 20 anni di accuse – 2

L’elenco di 20 anni di accuse – 3

L’elenco di 20 anni di accuse – 4

L’elenco di 20 anni di accuse – 5

L’elenco di 20 anni di accuse – 6

Non e' democrazia, bellezza!

 


Giovedì, 28 Novembre 2013
Scienziati ed artisti di chiari meriti nei rispettivi campi professionali ma che siedono sugli scranni del Senato, e vi siederanno per molti anni ancora sinché avranno vita, senza aver mai ricevuto un solo voto dagli elettori hanno scelto di cacciare dalle Istituzioni l’uomo designato dagli elettori per due decenni alla guida dell’Esecutivo o dell’opposizione Parlamentare.
Ora che il Cavaliere è fuori dalle istituzioni coloro che lo hanno ferocemente avversato per quattro lustri potrebbero avere tutte le ragioni per rallegrarsene e festeggiare l’evento. Invece, tranne qualche sparuto gruppo di minus habens, si constata un certo imbarazzato silenzio dale parti della sinistral.
Escluso che sia per pudore, sospetto che ne siano geneticamente sprovvisti, non resta che supporre che, seppur senza averne ancora piena consapevolezza, comincino a comprendere che quel voto non è stato per niente un successo, ma al contrario ha messo il definitivo sigillo sull’incapacità della sinistra a guadagnarsi per via democratica il governo del paese.
Ormai è documentato, e l’attestato lo ha rilasciato il Senato con il voto di ieri, la sinistra per piegare Berlusconi è dovuta ricorrere a mezzi che con la conquista del consenso popolare niente hanno a che vedere.
Certo, potrebbe apparire strano che io faccia questa affermazione nel momento in cui la sinistra ha praticamente tutte le cariche più importanti delle istituzioni, dalla Presidenza della Repubblica a quella delle due Camere e del Consiglio dei Ministri.
Ma proprio questa occupazione, “manu militari”, dimostra inequivocabilmente la mia tesi giacché nelle elezioni politiche svolte negli ultimi cinque anni, in quelle del 2008 il centrodestra ottenne una schiacciante vittoria e nelle più recenti la coalizione PD-SEL ha prevalso per soli 14.000 voti.
Da ieri nessuno potrà più battere politicamente Berlusconi perché già sconfitto, ma con armi aliene alla politica e alla regolare competizione democratica.
Non escludo che qualcuno tra i più intelligenti esponenti del PD avesse capito il disastro verso cui il partito si stava avviando. E aveva provato anche a lanciare qualche timido avvertimento subito zittito e perfino aggredito fisicamente.
Così il Partito di Epifani, cioè di nessuno, invece di attendere signorilmente l’interdizione che ineluttabilmente scatterà tra pochi giorni producendo più o meno gli stessi effetti della decadenza, ma lasciando la sinistra con le mani pulite, ha preferito diversamente.
E se lo ha fatto è per due motivi: il primo per non lasciarsi superare quanto a giustizialismo dal M5S, il secondo perché qualcuno dei tre contendenti alla segreteria del PD avrebbe potuto usare l’argomento dell’applicazione della legge Severino per lucrare qualche vantaggio sugli altri.
Un partito culturalmente succube al Grillismo e ormai prossimo alla spaccatura. Peggio di così...

martedì 26 novembre 2013

L'irresponsabilita' vendicativa

 

 
Gianni Pardo
Lunedì, 25 Novembre 2013
Purtroppo, il massimo di protezioni deresponsabilizza. Chi ha visitato l’ovest della Bretagna conosce le maestose falesie delle sue coste, alte, a picco sul mare e senza alcuna protezione. I visitatori sanno che devono stare attenti. Se ci fossero delle ringhiere per centinaia di chilometri, se esse fossero interrotte in un punto e qualcuno cadesse, si direbbe subito che la colpa è di chi ha permesso che ci fosse quell’interruzione, mentre la situazione differirebbe da quella attuale soltanto perché la ringhiera mancherebbe solo in un punto, invece di essere totalmente assente. E questo creerebbe la condanna, mentre il fatto che oggi manchi dovunque manda assolti tutti. E poi, se anche la ringhiera non avesse interruzioni, qualcuno potrebbe ancora scavalcarla: e le autorità sarebbero accusate di non averla fatta abbastanza alta. Oppure un vandalo potrebbe staccare una sbarra, un bambino passare attraverso l’apertura, ed ecco la condanna per omicidio colposo di qualcuno.
Gli esempi sono infiniti. Se muore una persona importante per droga si cerca il pusher, come se fosse colpa sua. È il drogato che fa esistere il pusher, non il pusher che fa esistere il drogato. Ma qualcuno bisogna punire. È avvenuto quando è morto Marco Pantani. Per le class actions americane il principio è stato che il singolo può essere stupido, demente e imprudente, ma se subisce un danno la colpa è di chi gli ha permesso di essere stupido, demente e imprudente. Né noi italiani siamo esenti da questa mentalità. Deprechiamo il consumismo (deprecavamo, per la verità, ora siamo troppo poveri, per farlo) pur continuando a consumare, con la scusa che “il consumismo ci condiziona a consumare”. Noi siamo innocenti. La pompa di benzina di minaccia con la sua pistola: “O il pieno o la morte!”
Esemplare anche il caso della Protezione Civile. Prima, quando pioveva, si esclamava “Governo ladro!”. Ora la Protezione Civile, se non è colpevole di avere permesso che piovesse, è responsabile dei danni per non avere allertato in tempo. Cosa che avrebbe sbalordito i nostri nonni. E allora l’Ente ha imparato, alla prima previsione di acquazzone, a inviare messaggi ai comuni. Questi alla fine, ricevendone troppi, non se sono più curati ed ora sono accusati di non aver tenuto conto dell’allarme riguardante la Sardegna. Ma si sono difesi: gli avvisi arrivano via fax e gli uffici all’ora d’arrivo erano chiusi. Bisognerebbe lasciare qualcuno in Municipio ventiquattr’ore al giorno? Ed ecco si parla di inviare un avviso a tutti gli abitanti mediante sms sui cellulari. Ottimo. E chi ha le pile scariche? E chi ha spento il cellulare? Istituiremo il reato di telefonino spento? La verità è che il rimedio a un problema crea spesso altri problemi (e costi) a cascata. Forse non migliorando neppure la situazione complessiva. È anche notevole il fatto che in occasione dell’alluvione in Sardegna si sia parlato di “risarcire” i danneggiati. La terminologia è significativa: lo Stato è responsabile di tutto, e i responsabili sono chiamati a “risarcire”.
Il colmo in questo campo lo si è raggiunto all’Aquila: dei geologi sono stati condannati per avere affermato che di solito la scossa più forte è la prima. Hanno affermato un luogo comune statistico della sismologia, ma siccome all’Aquila è andata diversamente, sono stati condannati ad anni di carcere. Facendo ridere il mondo scientifico, costringendo in futuro tutti i sismologi a dichiarare indefinitamente pericolosissimo qualunque sisma e la gente a non tener conto dei loro allarmi. Ma all’Aquila c’erano stati dei morti, si poteva non condannare qualcuno?
Un’altra infinita solfa è quella per la quale “bisognerebbe mettere in sicurezza tutti i comuni a rischio terremoto, alluvioni o dissesto geologico”. Bellissimo programma. Ma l’Italia è fatta come è fatta e si tratta di migliaia di casi. Ce lo possiamo permettere? Per non parlare di casi emblematici. Cefalù sta sotto una falesia: che si fa, si sposta la falesia o la città?
In Italia si è arrivati a processare le agenzie di rating americane perché hanno osato dire la verità, che l’economia italiana va male: infatti ciò avrebbe potuto allarmare le Borse. Se un ragazzo si suicida per un brutto voto a scuola si parte subito alla ricerca del colpevole. La scuola è troppo stressante, non si è tenuto conto della fragilità di quel minore. E se quel professore aveva fama di severità, non ne parliamo. Forse si dovrebbero abolire i brutti voti. Del resto tanto assurda la proposta non è, se dopo il ’68 gli studenti di sinistra chiedevano il “sei politico” e all’università gli esami di gruppo, dove uno solo aveva studiato. Poi ci stupiamo se le nostre università sono assenti nelle classifiche di eccellenza.
La ricerca della perfezione è dannosa in tutti i campi, persino quello della compassione. È naturale che si abbia pietà di un poveretto affamato, malato e sprovvisto di mezzi e che si voglia soccorrerlo. Ma lo Stato non può farlo per un singolo: lo fa per tutti i poveri. Ma chi sono? Qui, stabilito il limite, la pietà si sposta sul primo escluso. Se il limite è a mille, che facciamo con chi è a milleuno? E come controlliamo il reale livello? Creiamo sorveglianti, e uffici dei sorveglianti, e sorveglianti dei sorveglianti, e uffici dei sorveglianti dei sorveglianti. Alla fine si crea un elefante che vive a carico dei contribuenti e finisce con lo spendere buona parte delle sue disponibilità per tenersi in piedi, concedendo sussidi a chi non li merita (le pensioni di invalidità in Italia sono uno scandalo nazionale) e a volte negandoli a chi li merita. La soluzione non è non soccorrere nessuno: ma bisognerebbe limitarsi ai casi estremi. La complessità è sempre in agguato, sempre costosa ed occasione di abusi.
Si potrebbe continuare all’infinito. Il serpente si morde la coda. Più deleghiamo allo Stato la nostra sicurezza, più ci costa lo Stato, senza per questo giungere alla sicurezza. Dunque sì alla pietà, alla prevenzione degli incidenti e al welfare, ma senza esagerare. Le controindicazioni potrebbero farci pentire della cura.
pardonuovo.myblog.it

lunedì 25 novembre 2013

La caduta dell'impero europeo

 


Venerdì, 22 Novembre 2013
Quando si parla di “molto, molto tempo”, bisogna intendersi. Per la persona colta si sta parlando di secoli e millenni, per la persona normale soltanto dell’arco della sua vita, sia pure aggiungendoci qualche decennio di quella dei genitori. Per fare un esempio, una guerra fra due nazioni dell’area euro sembra inconcepibile soltanto perché al momento dell’ultima guerra quegli stessi che hanno più di settant’anni erano bambini piccoli.
Questo fenomeno si verifica anche in campo economico. I nostri contemporanei dell’area euro considerano la prosperità e il “welfare” naturali perché non conoscono altro. E inoltre che, se proprio dovesse scoppiare una crisi tremenda – l’equivalente economico della Seconda Guerra Mondiale – pensano che  dopo ci risolleveremmo come si è risollevata la Germania dopo il 1945.
E invece no, non è detto. Un modello di società può essere gravemente sbagliato, come la società sovietica, ed in questo caso è già molto se dura settant’anni. Viceversa, se è lievemente sbagliato, può darsi che duri molto di più, accumulando le conseguenze dell’errore, fino ad un crollo senza ritorno.
Per millenni la Pubblica Amministrazione non è stata molto presente, nella vita quotidiana. Il singolo non si aspettava praticamente niente dalla collettività. Non esisteva la sanità pubblica, e, nel caso, tutto ciò che si poteva sperare era di essere “curati” per pietà in lazzaretti organizzati dalla Chiesa. La società non era soccorrevole. Non solo non assicurava di non essere aggrediti, se si usciva di sera nelle strade buie, ma se c’era uno strapiombo non si preoccupava di metterci una ringhiera: chi non voleva cadere nel burrone faceva bene a stare attento. L’individuo era abbandonato a sé stesso e da ciò derivava una mentalità individualista ed estremamente responsabile: era una questione di sopravvivenza.
Economicamente il popolo trovava gravose tasse e imposte perché era molto povero, ma in totale lo Stato riceveva poco e non assicurava quasi nessun servizio. Il singolo doveva procurarsi di che vivere senza contratti collettivi, senza cassa integrazione, senza alcuna forma di protezione. L’ambiente era simile, per farsene un’idea, a ciò che tutti abbiamo visto cento volte nei film Western. Tolto lo sceriffo efficiente ed eroe.
Nel mondo moderno le provvidenze sociali ci fanno sentire sempre più al sicuro, tanto da sganciare la sopravvivenza dallo sforzo per sopravvivere: essa è sentita come un diritto per il semplice fatto di essere dei cittadini.  La mentalità è cambiata. Lo Stato - anche se a volte odiato perché invasivo - è sentito responsabile di tutto. Recentemente perfino dei guasti delle alluvioni. Oggi l’individuo si considera un creditore dei politici: questi sono incaricati di occuparsi del suo reddito – eventualmente ottenuto perfino lavorando – della sua salute, della sua casa, della sua istruzione, della sua sicurezza, di tutto. E con ciò si torna al quesito iniziale: questo modello è “naturale”?
In realtà, attualmente sembra che esso stia mostrando la corda. E se così fosse, la crisi non si risolverebbe come quella del ’29, con una semplice pausa di qualche anno nel progresso economico. Il piccolo errore che si ipotizzava, nel nostro modello, è così riassumibile: nella sua azione, lo Stato è meno efficiente del privato e se fa molto costa moltissimo. Ciò comporta un enorme peso fiscale con scarsi risultati complessivi. Ciò malgrado si ha un’irresistibile tendenza al deficit che in Italia – caso esemplare – porta a un debito pubblico astronomico. Col rischio che la bolla scoppi, azzerando la storia economica.
Da questo modello di società potremmo insomma uscire con le pive nel sacco, ritrovando virtù dimenticate. Ci accorgeremo che la vita ci è data senza la garanzia “soddisfatti o rimborsati”; che ognuno deve essere responsabile di sé stesso; che nessun pasto è gratis; che prima di parlare di diritti bisogna parlare di doveri; che è bene che lo Stato torni a farsi i pochi affari suoi.
Nessuno ci ha dato il diritto “naturale” di vivere tanto meglio che nel Medio Evo. Se vogliamo vivere meglio di allora, la società deve tornare ad essere adulta. La vita è forse un regalo, il seguito no.
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E questa e' giustizia...

 

Giuliano Ferrara
Domenica, 24 Novembre 2013
Berlusconi ha dato delle feste in casa sua, ha invitato delle ragazze e degli amici, gli amici lo hanno aiutato a comporre il suo harem burlesque, il suo privato divertimento, condividendolo. Berlusconi è notoriamente ricco e generoso, fa regali da sempre a destra e a manca, senza distinzione di rango, e con il circuito delle sue feste è stato come spesso gli succede regale e sciupone senza remore o rimorsi. Ha fatto una telefonata in questura, inopportuna sotto il profilo protocollare ma non concussiva, gentile e in prima persona, allo scopo di evitare a una delle sue ospiti la consegna a una comunità. Anche per disinnescare lo scandalo dovuto alla esibizione forzata del suo privato, ha inventato balle giocose, come quella della nipote di Mubarak. Bene. Queste sono tutte cose che rientrano nella dimensione privata, criticabile quanto a comportamento politico e civile di un uomo di governo e di Stato, ma non criminalizzabile.
Invece quel che ne è seguito, con mezzi d'indagine e una vocazione guardona e origliatrice da Stato di polizia, è precisamente la trasformazione di peccadillos da scapolo abbiente e da re di Arcore in reati infamanti che comportano anni e anni di galera. Sfido chiunque a dimostrare il contrario. A dimostrare che al di là di ogni ragionevole dubbio siamo invece in presenza di reati penali da punire con la massima severità: regali alle ragazze e agli amici e una raccomandazione a un gentile funzionario di Questura da scambiare con anni di galera. A dimostrare che abbia un qualche senso una condanna per atti sessuali prostitutivi quando di questi atti non esiste prova alcuna, mentre nelle stesse motivazioni della condanna si dice bellamente che non è quello il problema, palpeggiamento in più o in meno. Sfido chiunque a dimostrare che sia parte di uno Stato di diritto e delle sue garanzie un tribunale che condanna su queste basi effimere e ambigue e poi trasforma gli atti difensivi, rinviandoli ai pm perché istruiscano nuovi processi, in un nuovo capo d'accusa a raggiera, una retata potenziale di testimoni che si trovano così in una pesante situazione di condizionamento e di pressione: o ammetti di essere stato un falso testimone e di aver collaborato con un'azione di inquinamento del processo oppure ti becchi la galera anche tu.
Una gigantesca gogna ha devastato l'immagine pubblica di un capo democratico, di un uomo della democrazia rappresentativa, un leader che ha vinto tre volte le elezioni e ha governato il Paese secondo le regole, altro che storie, ritirandosi in buon ordine anche quando avrebbe avuto diritto al suo appello al popolo che lo aveva stravotato nelle urne del 2008 (novembre 2011). Questo non è un caso personale, da tenere distinto dal resto, cioè dalla stabilità di governo (che palle che ci raccontano sul semestre europeo) o da qualunque altra circostanza. Se la democrazia sanguina, se si insinua un dubbio di fondo sul suo funzionamento imparziale, perché gli atti di giustizia si trasformano in una persecuzione personale, qualunque sia il giudizio sul perseguitato, sui suoi errori, e anche sulle sue colpe o sui suoi peccati, non si può dormire tranquilli.
Non tutti in questo Paese hanno bevuto la leggenda nera di Andreotti mafioso, di Craxi spolpatore delle finanze pubbliche per avidità, del doppio Stato reo di stragi infinite e di trattative collusive con i poteri criminali. Molti tra coloro che pure hanno combattuto per le loro idee e contro le classi dirigenti della vecchia Repubblica, e hanno mantenuto la loro autonomia di giudizio nella situazione che seguì alla sua caduta, hanno cercato di esercitare il giudizio critico sull'unico potere che da almeno vent'anni si considera al di sopra delle parti mentre agisce come parte in causa in una lunga guerra ideologica, quello dell'accusa penale. Questi italiani che non hanno portato il cervello all'ammasso dello spirito forcaiolo si facciano sentire. E anche i capi delle istituzioni, prima di tutti il garante della Costituzione e capo della magistratura, il presidente della Repubblica, non possono tirarsi fuori dal dovere di intervento e di correzione della grave stortura che si è prodotta.
Esprime il peggio della cosiddetta ideologia italiana, viltà maramaldesca, chi oggi si volta dall'altra parte, chi mette la propria antipatia e inimicizia politica verso Berlusconi, o anche soltanto la voglia di quieto vivere, davanti al dovere di giudicare una ignobile messinscena chiamata giustizia.

mercoledì 20 novembre 2013

Comune di Roma, avviso al pubblico: "Non insistete o vi prenderemo a parfolacce ed insulti"



 
Comune: diventa «virale» la foto del cartello
che minaccia insulti agli utenti in coda
Il blog «Romafaschifo» mette in Rete l’immagine di un avviso al pubblico: «Non insistete o vi prenderemo a parolacce»
Il cartello postato su Facebook dal blog «Romafaschifo»
 
Il cartello postato su Facebook dal blog «Romafaschifo»

ROMA - «Il pubblico è pregato di non insistere... altrimenti ci vedremo costretti a prendervi a parolacce e insulti». E l’insolito e assurdo messaggio che - a detta dei social network - sarebbe comparso davanti ad un ufficio pubblico romano: un modo alquanto originale di accogliere gli utenti in coda. «Non è un fotomontaggio. E’ semplicemente una città che sta diventando terzo mondo ogni giorno di più», è il commento postato sulla pagina Facebook del blog «Roma fa schifo» da chi, martedì 19 novembre, ha messo in rete la foto di un cartello a suo dire appeso «fuori dall’Ufficio Gestione Verde Urbano» di Roma Capitale.
L’intestazione di Roma Capitale sul cartello «L’ALTRI GIORNI SI LAVORA» - Il cartello, se davvero non si tratta di un fotomontaggio, potrebbe costare una denuncia ai dirigenti di detto ufficio, dato il tenore del messaggio contenuto: «Il pubblico si riceve nei giorni di martedì e venerdì dalle ore 10,00 alle ore 12,00 previo appuntamento telefonico. L’altri giorni dobbiamo lavorare. Si prega di non essere insistenti, altrimenti ci vedremo costretti, anche se contrario alla nostra educazione, a prendervi a parolacce ed insulti».
MOLTIPLICATA SUL WEB - L’immagine del cartello si è diffusa rapidamente sul web , dove è diventata virale, e sono centinaia i commenti di cittadini indignati. Molte persone hanno messo in dubbio la veridicità della foto, ma sia il blog «Romafaschifo» che il blog «Arfio Marchini», il fake (una copia falsa) della pagina del consigliere comunale Alfio Marchini, confermano che la scritta sarebbe realmente apparsa nell’ufficio. Il Campidoglio avrebbe disposto accertamenti.
19 novembre 2013

martedì 19 novembre 2013

Letta a pagamento

 

 

Dove esiste senso dello Stato i governanti non vanno a parlare dove si entra a pagamento e le porte restano chiuse, portando ricchezza ai privati che convocano. Lo fanno dopo, finita l’attività di governo, lautamente retribuiti. E che il cielo li benedica e protegga quel che guadagnano. Passi per gli incontri con altri governanti, magari in ambienti business, ma qui siano a eventi in cui si paga appositamente per andare a sentire uno (o più) già pagati dal contribuente.
Le domande sono: se organizzo un convegno a pagamento Letta & C. vengono anche da me? perché vanno a seminari a porte chiuse, non lo sanno che le parole di chi governa devono essere pubbliche, o non devono esistere? perché lo fanno ora? All’ultima domanda ho la risposta: perché nessuno pagherebbe un tallero per ascoltarli dopo.

lunedì 18 novembre 2013

Berlusconi torna a Forza Italia: "Scissione per distanze personali". Alfano: "Scelta dolorosa per amore dell'Italia".

 


Il Foglio
Domenica, 17 Novembre 2013
La scissione. Parte raccontando quello che accaduto ieri sera, Berlusconi, nel corso degli incontri che si sono susseguiti per tutto il pomeriggio a Palazzo Grazioli. "Cos'è successo? – esordisce Berlusconi - Ci sono state delle differenze non su programmi e valori, ma delle distanze tra singole persone, si è formata una situazione che non rendeva possibile, a loro giudizio, di poter continuare pacificamente in un lavoro comune, ho passato del tempo per evitare questo. Eravamo arrivati ad accordo, ma hanno chiesto ieri sera la convocazione dell'ufficio di presidenza”. “Abbiamo opposto due ragionamenti - ha detto Berlusconi -, il primo che ci volevano 24 ore di anticipo per la presenza di tutti i componenti, per le modifiche da aggiungere non c'era bisogno di un passaggio all'ufficio di presidenza, ma farlo conoscere al Cn".

"Potete immaginare, visto che la missione dal 94 a oggi era quella di unire, il dolore con cui ho appreso la comunicazione e questa notte non ho dormito". Anche se "è molto difficile essere alleati in Parlamento e sedere allo stesso tavolo con chi vuole uccidere politicamente il leader di un partito", il Cav. Sottolinea come “non dobbiamo scavare un solco che poi sarà difficile da rimuovere. Questo gruppo, anche se adesso apparirà come un sostegno alla sinistra, al Pd, dovrà poi necessariamente far parte della coalizione dei moderati, dobbiamo comportarci con loro come con Lega e Fdi".

Economia.
“La nostra economia non cresce da vent’anni. Noi abbiamo un handicap rispetto agli altri Paese come una macchina dello Stato che ci costa miliardi di euro che supera di un terzo il costo rispetto agli altri Paesi”. L’attenzione di Berlusconi si sposta poi sulla politica d’austerità europea messa in atto dalla Germania e dal ruolo che dovrebbe svolgere la Bce per invertire questa tendenza: “"Non vedo dei ministri che trattino queste pratiche con coraggio e statura necessaria per farsi ascoltare in Europa, questa è la situazione", attacca Berlusconi, “"Alla Merkel e Sarkozy davo fastidio perché ero l’unico che aveva l'esperienza e la voglia di dire no a molte delle loro proposte che apparivano a me insensate". Per poter cambiare questa politica d’austerità, secondo Berlusconi “bisogna prima cambiare il ruolo della Bce che deve assumersi la garanzia dei debiti pubblici dei paesi che usano l'euro. Usa, Giappone e paesi a sovranità monetaria continuano a emettere titoli di debito pubblico", conclude Berlusconi.

Giustizia."La nostra magistratura, unico caso nei paesi civili, è incontrollabile, irresponsabile e fruisce di assoluta impunità. Il privilegio di giudicarsi tra componenti della stessa casta è privilegio medievale", ha detto Berlusconi. "La magistratura americana deve fare i conti con il suo elettorato. In Germania e Regno Unito c'è il controllo dell'esecutivo”. Da noi “il Governo non può approvare qualcosa che non veda d'accordo l' Anm". Soffermandosi poi sulle sue vicende giudiziarie Berlusconi ribadisce ancora una volta che la sentenza che lo vede condannato nel processo Mediaset “è infondata e ingiusta e sono sicuro che verrà ribaltata – conclude, annunciando che – “presto ci saranno importanti verità”.
Futuro. Infine spazio al futuro e alla situazione politica dell'Italia che “non si potrà governare in futuro se non con le larghe intese” a dispetto di una legge elettorale – il Porcellum – che “non è una brutta legge e che potrebbe essere corretta il prossimo 3 dicembre dalla Corte costituzionale con un target del 42 per cento che faccia scattare il premio di maggioranza”.
Ma, avverte il Cav., se “il prossimo governo dovesse essere composto dal Pd e dal M5s, sommando giustizialismo a giustizialismo, per molti di noi l’unica soluzione possibile sarebbe quella di espatriare”, La soluzione per Berlusconi c’è ed è una sola: “unire tutti i moderati e farli votare per Forza Italia”.
La risposta di Angelino Alfano arriva nel pomeriggio, nel corso di una conferenza stampa indetta per le 17:30 nella sede della Stampa estera. “Sono qui oggi per la presentazione dei nuovi gruppi parlamentari del centrodestra. Una decisione che mai avremmo pensato di dover assumere perché nasce da un’altra decisione: quella di non aderire a Forza Italia”.

“Una scelta amarissima e dolorosa per me – prosegue Alfano - perché è il movimento in cui ho creduto sin dal '94 e che oggi ha chiuso la sua esperienza. Una scelta fatta con amarezza ma per amore dell' l’Italia perché crediamo che all’Italia serva un grande centrodestra. La scelta - spiega Alfano -  è nata quando abbiamo avuto la sensazione che nel nostro movimento prevalesse la scelta del voto anticipato, un partito della crisi di governo che avrebbe portato l’Italia a nuove elezioni senza il presidente Berlusconi candidabile e con la stessa legge elettorale”.
"Noi ci troviamo oggi esattamente dove il Presidente Berlusconi ci ha portato - sottolinea Alfano - quando lui a Bari disse ‘o un governo forte o elezioni subito’ebbe questa intuizione.  "Berlusconi ci ha portato in questa alleanza e noi vogliamo portare avanti questa sua grande intuizione". "Questo governo è in piedi da sei mesi e mezzo - prosegue -, non si può giudicare in via definitiva il suo operato, per di più in tempi di crisi come quelli che stiamo vivendo. Abbiamo raggiunto grandi risultati sin qui - sottolinea Alfano -  e siamo stati uno scudo ad una possibile deriva delle politiche di sinistra che avrebbero aggredito il patrimonio".
Futuro. Per il futuro il vicepremier Alfano ha "idee chiarissime". "Noi proponiamo un patto per gli italiani e per tutte le forze presenti in Parlamento: tra dodici mesi vedremo se verranno raggiunti gli obiettivi di governo". E quindi indica: la modifica della Legge elettorale che "restituisca lo scettro ai cittadini salvaguardando il bipolarismo", che è stata "una conquista di Berlusconi", l'elezione diretta del "vertice dell’esecutivo e del Presidente della repubblica" e per l'economia la "ricetta liberale: meno tasse, meno spesa, meno debiti". "Se nella Legge di stabilità non riusciremo ad abbassare la spesa pubblica ne trarremo le conseguenze", ha concluso Alfano che promette che "ogni giorno lavoreremo per questi obiettivi e tra dodici mesi ne riparleremo senza pensare di far precipitare adesso il paese in una condizione d’incertezza che aggraverebbe la sua situazione economica".
Nuovo centrodestra, numeri, primarie di coalizione, Europa. Il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano conta 27 adesioni alla Camera e 30 al Senato. “Per il futuro l’obiettivo è la creazione di un grande centrodestra che sia in grado di battere il centrosinistra che non ha cambiato i suoi connotati”. E annuncia che nelle prossime settimane farà una prima grande Convention.
“Il prossimo candidato a Presidente del consiglio il centrodestra lo sceglierà attraverso primarie di coalizione”. Infine Alfano riserva un commento sull’Europa: “Non siamo contro l’Europa, anzi vogliamo more Europe, più Europa, ma non siamo euro tappetini”, così sottolineando che l’Europa deve rappresentare un’”opportunità” e non solo un vincolo.
“Negli ultimi venti anni, affidandoci a Berlusconi, riteniamo di aver fatto la scelta giusta”, conclude Alfano. “Se siamo stati costretti a fare questa scelta è per le ragioni di cui ho parlato prima. Siamo forti della nostra grande passione e del convincimento delle nostre idee”.

venerdì 15 novembre 2013

Berlusconi e il paragone con gli ebrei

Bartolomeo Di Monaco

6 novembre 2013

Se volete un altro degli ennesimi esempi di malafede con cui in Italia si fa la lotta politica (anziché il democratico confronto) osservate come è stata fraintesa la frase di Berlusconi:

«I miei figli dicono di sentirsi come le famiglie ebree in Germania durante il regime di Hitler. Abbiamo davvero tutti addosso»

Lo sciocco (politicamente parlando) Danilo Leva del Pd, subito prende la palla al balzo e giù anatemi per lo scandaloso paragone. E poi si domanda (e qui cascò l’asino) che cosa di questa dichiarazione pensa Angelino Alfano. La strumentalità è sfacciata e palese. Se questa frase fosse scappata per esempio ad un Bassolino perseguitato dalla magistratura e pochi giorni fa assolto e riconosciuto innocente su tutta la linea, il Pd avrebbe subito diffuso un comunicato di sostegno all’ex presidente della regione Campania, giustificando il tutto con la forte tensione con cui Bassolino ha vissuto questo lungo periodo in cui è passato come un ladro e un delinquente agli occhi della famiglia e dei cittadini.

Berlusconi la cui persecuzione dura da 20 anni, invece, non lo si deve capire. Poiché ha ricevuto una condanna definitiva e dunque è un delinquente con tanto di certificazione, ciò che dice è frutto di una ragionamento lucido e spietato.
Anche la comunità ebraica, sebbene più morbida, ha preso posizione scandalizzandosi.

Tutto questo avviene a poche ore di distanza dal successo e dagli applausi ottenuti in parlamento dal ministro della giustizia Cancellieri, la quale è stata riconosciuta degna di mantenere l’importante dicastero non avendo trovato niente di disdicevole nel comportamento tenuto in occasione dell’arresto della famiglia Ligresti.

La quale Cancellieri alla famiglia Ligresti non ha detto di sentirsi impaurita e assediata come lo furono gli ebrei tedeschi, bensì qualcosa di molto più grave dal contenuto che non è difficile classificare come eversivo. Infatti, alla signora amica che si lamentava all’altro capo del telefono dell’arresto subito dalla famiglia, il ministro si permetteva di sottolineare che quell’arresto (di cui probabilmente nemmeno sapeva i dettagli), non era giusto e dunque ne metteva in dubbio la legittimità, accusando con ciò magistrati e funzionari delle carceri.
Per questa dichiarazione il Pd, per bocca di Zanda, non ha trovato di meglio da dichiarare in parlamento che: Continui il suo lavoro.

Vediamo ora la frase di Berlusconi e vediamo se essa abbia un contenuto eversivo quale quello che si rileva obiettivamente dalla trascrizione della intercettazione indiretta della Cancellieri.
I miei lettori mi perdonino se in questi giorni sono così pignolo, ma ciò dipende dal fatto che, come non era mai accaduto nel passato, si stanno manifestando in numero notevole  e con frequenza sempre di più ravvicinata comportamenti che aiutano a capire che cosa di terribile sta accadendo alla nostra democrazia, ormai alla deriva per colpa di personaggi che fanno della menzogna, della arroganza e dell’ipocrisia i loro strumenti privilegiati di confronto politico.

Dunque, ha detto Berlusconi:

«I miei figli dicono di sentirsi come le famiglie ebree in Germania durante il regime di Hitler. Abbiamo davvero tutti addosso»

Qual è il senso di questa frase? Un paragone con il destino finale degli ebrei tedeschi durante il Nazismo?
Chi lo ha pensato, a partire da Zanda e anche dalla comunità ebraica, dimostra di aver peccato di superficialità e di troppa fretta, pur di dare addosso all’avversario.

È lapalissiano e storicamente provato che milioni di ebrei hanno subito lo sterminio in modi orrendi; e che particolarmente orrendo fu lo sterminio di massa nelle camere a gas, ma davvero qualcuno ha potuto credere che la frase di Berlusconi volesse accostare il suo sentimento di paura a quello di terrore provato dagli ebrei trascinati a forza nei campi di concentramento e poi rinchiusi nelle camere a gas per lo sterminio di massa?

Si vergognino costoro per essere arrivati a disumanizzare un individuo (si chiami Berlusconi o Pinco Pallino) fino al punto di dare ad una sua frase un significato così orribile e che nessun serio ermeneuta potrà mai avallare. Ho repulsione e sgomento per l’uso così blasfemo che viene fatto della nostra lingua. Quanta inadeguatezza e quanta approssimazione!

La frase di Berlusconi richiama il sentimento di cui erano preda gli ebrei allorché si cominciò a respirare il marciume e la fiumana nazista che stavano scavando il loro alveo in direzione del popolo ebraico. Gli ebrei non volevano credere a questo, e ci sono tante testimonianze di ebrei nati in Germania i quali stentavano a dar fede ai racconti che venivano loro narrati dai compagni. Poi ci fu la famigerata notte dei cristalli e allora le voci che circolavano sulla persecuzione a loro carico ebbe la prova certa, inequivocabile. Si cercò di trovare riparo, ci si nascose nelle soffitte o negli scantinati, si visse in molti in una sola stanza per mesi, con la paura che all’improvviso la porta si aprisse e i tedeschi irrompessero gettandosi su di loro rozzamente e violentemente.

È questa la paura denunciata da Berlusconi. Non la paura dei forni crematori che gli ebrei nascosti nemmeno sapevano che esistessero, ma la paura di una discriminazione che intuivano devastatrice e violenta.
Eppure di questa paura la letteratura dell’Olocausto è colma, a partire dai diari di Anna Frank e di Louise Jacobson.

Noto è il libro scritto da Anna Frank, meno noto l’altro che fu pubblicato da “l’Unità” (Zanda dovrebbe conoscerlo) nel 1996 con prefazione nientemeno che dell’ex rabbino capo della comunità ebraica romana, Elio Toaff, la cui prima edizione era uscita in Francia nel 1992.
Da questo diario riporto uno dei tanti momenti in cui appare una paura che non riguarda il destino finale, a quel momento sconosciuto, ma lo smarrimento per una discriminazione di cui ancora non si ha piena contezza:

Alle tre del pomeriggio, nella sala comune dove io stavo parlando con gli altri, arriva un uomo con una lista in mano. Oh, questo non me l’aspettavo di certo; non pensavo che ci avrebbero portato via di lì tanto presto! Legge alcuni nomi, c’è anche quello di Sourèle, ma non il mio. Senza un attimo di riflessione mi getto su di lei e la stringo fra le braccia “no, non ci separeranno mai!”

(omissis)

Dove stavamo andando e per quali vie, non lo sapevamo.

Per marcare la differenza tra queste due tragiche testimonianze e un’altra testimonianza, che è quella a cui non si richiama Berlusconi ma i suoi denigratori, sbagliando segno, bisogna andare al libro “Sonderkommando”, di Salmen Gradowski, l’ebreo addetto ai forni crematori. La sua tragedia sta nella ormai consolidata sicurezza del suo destino (fu ucciso dai nazisti il 7 ottobre 1944).

È la paura di una persecuzione che non si riesce a capire quella contenuta nella dichiarazione smarrita di Berlusconi. La paura che percuote l’uomo Berlusconi è quella di un destino in cui compaiono mascherature orripilanti prima sconosciute.

Nel prosieguo della sua dichiarazione Berlusconi ricorda anche la possibilità della fuga suggeritagli tante volte e mai accolta, in quanto radicato in Italia dall’amore per il Paese in cui è nato e ha dispiegato la sua vita, così come accadeva all’ebro tedesco che respingeva il pericolo nazista con l’autoconvincimento che anche lui era un tedesco nato in Germania come gli altri. Un autoconvincimento che poi è andato a poco a poco risolvendosi nella incredulità, poi ancora nella paura, e infine nella tragedia dei forni crematori.

Berlusconi è un cittadino che si dichiara innocente, non dobbiamo mai dimenticare questo dato fondamentale, da cui muove ogni suo sentimento. Pure lui è stato incredulo di fronte ad un attacco così massiccio e carico di odio e di parzialità (la sentenza Esposito insegna) da parte della magistratura ed anche della politica. Lui che fino al 1993 non solo era stato onorato del titolo di cavaliere del lavoro ma come imprenditore era stato additato ad esempio per creatività e audacia. Poi dall’incredulità è passato alla paura. Paura per sé, che, secondo il consiglio di amici, avrebbe dovuto fuggire dalla terra che ama, paura per i figli suscettibili di pagare il peso di quella scomoda paternità.

È lo stesso sentimento di paura, di insicurezza, di smarrimento, di confusione che provarono gli ebrei nel momento in cui si cominciò a parlare di persecuzioni nei loro confronti.
Quel tipo di paura non appartiene solo agli ebrei, ma appartenne ai negri all’epoca orribile della loro tratta, a cui prese parte attivamente perfino un grande poeta come Rimbaud.
È una paura che appartenne e appartiene ai Pigmei massacrati periodicamente dai Bantù, agli Hutu massacrati periodicamente dai Tutsi in Ruanda, e così via. Chi non ricorda il massacro degli Hutu perpetrato a colpi di machete dai Tutsi.

Ogni uomo ha paura della discriminazione, e non è detto che questa paura deve essere presa in considerazione solo quando attraversa masse di individui. Un singolo cittadino quando avverte l’accanirsi su di sé di una discriminazione che nasce da una dismisura di forze a cui non può reggere, è assalito da un sentimento che in quel momento lo accomuna a quello di qualunque essere umano, a qualunque epoca sia appartenuto, il quale si stia rendendo conto che una catastrofe si sta abbattendo su di lui ingiustamente.

Il mondo è pieno, ahimè, di queste paure e guai a non riconoscerle e a non rispettarle.

Il pensionato immorale

  


Gianni Pardo
Giovedì, 14 Novembre 2013

 
Un ex bancario pensionato a 2.100 € al mese si lamenta sul Corriere perché gli hanno bloccato l’indicizzazione e, di fatto, ogni anno percepisce sempre meno. Questo perché, con 2.100 € netti, oltrepassando i tremila lordi, per il governo fa parte dei “ricchi” che devono pagare per gli altri. Il bancario non ci sta. Ha lavorato tutta la vita, cominciando a 17 anni, e dice, risentito: “Non ho rubato niente a nessuno!”
Non solo ha ragione da vendere; non solo il quantum del trattamento di quiescenza non dovrebbe mai essere toccato, perché risulta da un contratto liberamente sottoscritto dalle parti: ma ha ragione anche chi la pensione l’ha “rubata”. E questo deve essere spiegato.
In passato in questo campo si è molto largheggiato. Dal momento che pagava lo Stato, si è stati generosi con tutti. Non si è nemmeno tenuto conto dell’elementare principio che la pensione doveva risultare dall’accantonamento di parti della retribuzione, per coprire (con logica attuariale) gli anni della vecchiaia. Invece si è permesso a giovani di lasciare il lavoro per ricevere una somma mensile dignitosa per molti anni, fino ad arrivare all’assurdo che si poteva essere a riposo per un tempo notevolmente più lungo di quello passato a lavorare. Nella scuola, per esempio, vent’anni sulla cattedra e poi, se uno era longevo, quarant’anni a spese dello Stato. Cioè dei connazionali.
Per molto tempo è stato di moda stramaledire quelli che erano chiamati baby pensionati. Li si trattava da profittatori e da ladri. Con qualche ragione, naturalmente, dal punto di vista astrattamente economico. Ma in concreto?
Immaginiamo che un signore anziano, non interdetto e neppure inabilitato (il che in diritto corrisponde a dire “perfettamente in grado di intendere e di volere”) un giorno ritiri in banconote da cento la massima parte del suo patrimonio e poi vada in strada a seminarle al vento, affinché siano raccolte dai passanti. Naturalmente i figli – futuri eredi – potrebbero essere furenti, vedendo così regalare quel patrimonio che legittimamente si aspettavano di ereditare. Potrebbero anche rimpiangere di non avere portato in tempo il padre dinanzi ad un giudice per toglierli la possibilità di fare operazioni di banca. Ma dal momento che non l’hanno fatto - e non è neanche detto che il giudice avrebbe dato loro ragione - devono assistere impietriti a quella scena agghiacciante.
E tuttavia qui non interessano né il ricco signore né i suoi figli: interessano i passanti. Chi raccoglie quel denaro non lo ruba a nessuno. Nel momento in cui le dita del legittimo proprietario allentano la presa, quelle banconote sono res nullius, cosa che appartiene legittimamente al primo che la raccoglie. È certo vero che i passanti potrebbero fare l’ipotesi che l’uomo non abbia tutte le rotelle a posto: ma ciò sarebbe giuridicamente senza conseguenze. Non potrebbero impedirgli di buttare per aria il suo denaro, se già non possono impedirglielo i suoi figli. Non potrebbero impedire agli altri passanti di raccogliere le belle banconote verdi. E il singolo che si astenesse dal raccoglierle non salverebbe né il vecchio né i suoi eredi.
La parabola è trasparente. Se lo Stato italiano è stato tanto demente da regalare pensioni ai giovani, perché vivessero a lungo girandosi i pollici; se è stato tanto demente da dare pensioni molto più generose di ciò che corrispondeva ai contributi versati, i beneficiari non ne hanno colpa. Non potevano certo farsi nominare tutori di uno Stato interdetto. Se qualcuno c’è da rimproverare è tutta una classe politica di demagoghi e di economisti “de sinistra” che hanno creduto di poter essere generosi a spese della crescita dell’economia, delle generazioni future e in fin dei conti dello Stellone italiano. Né va dimenticato che mentre facevano questo erano applauditi da tutta la pubblicistica nazionale. Se un Paese ha creduto per decenni che si potesse spendere più di quanto si guadagnava (deficit dello Stato), quello stesso Paese ora non si deve lamentare se la realtà presenta il conto.
Un vecchio detto romano ammonisce: “Caveat emptor”, il compratore stia attento. Se qualcuno vende una bottiglia d’acqua minerale per dieci euro, sostenendo che guarisce il cancro, il giudice non condannerà il venditore per truffa, perché è il compratore, ad essere demente. È la sua demenza che gli ha provocato il danno di nove euro e mezzo, non l’inganno del venditore. Caveat emptor.
I baby pensionati, i titolari di pensioni d’oro, e tutti i beneficiati della follia nazionale, non hanno rubato niente a nessuno. Oggi sarà concepibile che uno Stato ridotto ad un disperato bisogno di denaro gli sottragga con la forza qualcosa che è legittimamente loro, ma non deve farlo credendo di avere giustificazioni morali. Perché la prima immoralità consiste nel togliere a qualcuno ciò che è suo. Solo perché si è più forti.
 
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