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martedì 12 marzo 2013

Se il Pd fosse un partito normale e se volesse un'Italia giusta.

Con lo slogan “L’Italia giusta” il centrosinistra ha ottenuto lo 0,36% in più dei voti del centrodestra, ma “non può governare” come si può facilmente costatare in questi giorni e come avevo previsto nel mio articolo del 28 febbraio. Lo stallo politico è dovuto essenzialmente alla “storica incapacità” della sinistra di saper governare. In un paese “normale”, come vanno dicendo in molti compreso Matteo Renzi, in una tale situazione di “immobilità” si darebbe vita a una “grande coalizione”, a un governo di unità nazionale o di scopo, per lo meno per il tempo necessario a realizzare alcune urgenti riforme per mettere in moto “urgentemente” l’economia e per far funzionare meglio lo Stato e, subito dopo, tornare al voto. La mancanza di stabilità politica, infatti, danneggia tutti gli italiani, senza distinzioni, rendendo l’Italia debole di fronte ai più solidi Paesi come la Germania e Francia. Perché in Italia non è possibile ciò che in altri grandi paesi democratici sarebbe considerato “normale”? Massimo D'Alema sostiene che “l'impedimento” è Silvio Berlusconi, quindi fa ricadere su di lui la colpa che il Pd non può governare. Quelli di sinistra arrivano a dire anche questo!  E' ovvio se passi vent’anni a “demonizzare” Berlusconi, e a raccontare che la nostra è la Costituzione “più bella del mondo”, poi è difficile spiegare ai tuoi militanti, ai tuoi elettori, che ora bisogna accordarsi con il “nemico” per cambiare la “Costituzione” e le regole del gioco che fino il giorno prima si “affermavano perfette”. Che si trovi al governo o all'opposizione, ogni volta che si è presentata l’occasione di discutere di riforme costituzionali, la sinistra “ha sempre respinto” ogni ipotesi di rafforzamento dei poteri del governo e di elezione diretta del presidente della Repubblica o del premier. L’ha sempre considerato un “attentato” alla Costituzione, un “golpe”, un disegno autoritario. Un accordo con il Pdl di Berlusconi, anche solo per cambiare le regole, lo ritengono un vero e proprio tabù: un “inciucio”. Naturalmente l’azione “forsennata” della magistratura per “eliminare” Berlusconi ha il suo peso negativo. L’unico centrodestra con il quale ci si potrebbe accordare per il Pd è un centrodestra “deberlusconizzato”. Ma Berlusconi è solo un alibi. In realtà, la sinistra “demonizzerebbe” qualsiasi leader in grado di coalizzare un centrodestra capace di batterla. Quindi l’unico centrodestra “buono” per il Pd sarebbe un centrodestra “subalterno”, sconfitto in partenza perché minoritario. Anche nella  fase attuale il Pd di Bersani si preoccupa più di “marginalizzare” il centrodestra che di approfittare di questo momento di stallo per garantire al Paese istituzioni più forti e regole del gioco più efficaci attraverso riforme condivise. Il tentativo di Bersani con i “grillini” sembra soprattutto una “manfrina” per guadagnare tempo. Se va in porto, tanto meglio. Ma la sensazione è che il vero obiettivo sia un altro. Più tempo passa, infatti, più si avvicina l’elezione del nuovo capo dello Stato. Si riducono, quindi, i margini di Napolitano per trovare una soluzione che incoraggi una qualche forma d’intesa tra Pd e Pdl. Se ciò accadesse, il Pd sarebbe costretto a dialogare con il Pdl sulla scelta del nuovo Presidente della Repubblica. Se fallisce il tentativo del Pd di accordarsi con Grillo, Napolitano dovrebbe passare la palla al suo successore, che non avrebbe alcun impedimento a “sciogliere subito” le Camere. Ma intanto il Pd riuscirebbe a far eleggere un altro loro “compagno” al Quirinale con il 25% dei voti dei “grillini”, isolando il Pdl, poi incolpare Grillo delle elezioni anticipate. Dopo vent’anni di “antiberlusconismo”, quindi di mancate intese sull’aggiornamento delle regole del gioco, siamo arrivati al dunque: o la sinistra si “sblocca”, e accetta di accordarsi con il Pdl, oppure rischia di far aumentare la spirale d’ingovernabilità e darà ancora più forza al Movimento 5 Stelle.  

Un sacco bello!

Sappiamo tutti che nessuno legge i programmi dei partiti. Tutti sanno che sono un libro dei sogni, dunque irrealizzabili. Troppo spesso in passato le promesse non sono state mantenute. Neanche le più ragionevoli. I programmi sono un modo per prendere gli elettori per i fondelli e per questo la gente li ignora. Generalmente le persone hanno idee “schematizzate” e “radicalizzate”. Pensano che il Pd sia il partito che cerca di favorire i lavoratori contro i ricchi e gli sfruttatori. Il Pdl e’ il partito che incoraggia la libera iniziativa per creare più lavoro e vuole che ci sia meno Stato nella vita dei cittadini. Se si parla di un’accusa a Berlusconi, la conclusione è semplice: per quelli di sinistra tutte le imputazioni sono già sentenze di condanna, per quelli di destra Berlusconi sono vittima delle solite calunnie. Parlando con l’uomo della strada, si capisce che non ha idee più “profonde” di queste. Il programma di Grillo invece è semplice immediatamente comprensibile a tutti: “Basta” con i partiti. “Basta” con la corruzione. “Basta” con l’euro. “Basta” con i privilegi della casta. “Basta” con tutti i politici attuali, bisogna mandarli a casa in blocco. Tanto, i nuovi non potrebbero essere peggiori! “Basta” con le speranze tradite. “Basta” con le promesse non mantenute, bisogna azzerare tutto e ripartire da capo.  Il programma di Grillo si riassume in una sola parola: “Basta!”. Programma piuttosto “vago” e per questo “inattuabile”. Una “protesta urlata”, per quanto giustificata, non è un programma e neppure offre una soluzione. L’esasperazione di cui Grillo si fa portavoce “non conduce da nessuna parte”, se non s’indicano azioni specifiche e “concretamente realizzabili”.  Ad esempio non fa parte dei progetti realizzabili il “reddito di cittadinanza” a chiunque sia disoccupato. Probabilmente Grillo guadagna tanto da credere che mille euro siano una “quisquilia”. C’è troppa gente che lavora 40 ore settimanali e tuttavia non li guadagna. E comunque, con i disoccupati attuali sarebbero necessari 36 miliardi e contando quelli che disoccupati lo diverrebbero immediatamente (per riscuotere il sussidio) quella somma almeno si raddoppierebbe. È una promessa “totalmente fuori dalla realtà”. È vero che i programmi senza capo né coda a volte hanno ugualmente un grande successo. Gridare “Basta!” va benissimo per vincere le elezioni. Ma poi bisogna governare. Saper utilizzare la vittoria è tanto difficile quanto amministrare i tanti milioni vinti con la lotteria. Non a caso, a volte, dopo qualche tempo si apprende che i fortunati hanno perduto tutto. Grillo deve stare attento. È partito dicendo “Basta!” ma dovrebbe sapere che il popolo può dirlo anche a lui, se appena si accorge che dietro le “parolacce” gridate al microfono “non c’è niente”. Per ora i “grillini” rievocano la famosa scena del film di Carlo Verdone “Un sacco bello” in cui il giovane “hippy” prova a spiegare al padre e al parroco l’attività’ del loro gruppo: “Cioè, siamo un gruppo di ragazzi no, che stanno fondando una comunità agricola no, cioè come alternativa all'inquinamento urbano, cioè inteso non soltanto come scorie eccetera, no, cioè inteso anche come inquinamento morale capito in che senso? Cioè allora, mentre le ragazze provvedono alla raccolta dei frutti naturali della terra no, tipo carciofi, ravanelli, insalata, piselli no, tutta robbba vegetale un sacco bbuona no, noi ragazzi invece provvediamo così alla dimensione artigggianale no, cioè tutti lavoretti così in ceramica, in cuoio no, così eccetera no, per sentirci in noi stessi in quanto entità fisico psichica a contatto con gli altri no, cioè in questo mondo cosmico pantistico naturalistico no, cioè un mondo in cui è l'amore che vince e il male che perde no, cioè un modo in cui veramente domina la fratellanza no”. Ovviamente un paragone “spiritoso”, da non prendere alla lettera, ma il discorso di Verdone assomiglia molto al “guazzabuglio” delle “proposte ingenue” e “teorie strampalate” espresse dai “grillini” eletti in Parlamento nella loro recente assemblea di Roma. In generale il Movimento 5 Stelle e’ il frutto della cultura “anti capitalista”, antagonista, no global, che la sinistra italiana, politica e intellettuale, ha diffuso per decenni dal ‘68 a oggi. Vi si ritrovano tutte le “subculture” del post comunismo (ormai uscito sconfitto dalla storia) per combattere il “liberalismo” e la “democrazia” rappresentativa.