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mercoledì 17 luglio 2013

L'Orango politically incorrect.

 


 

Gianni Pardo
Lunedì, 15 Luglio 2013
 
Ecco le parole di Roberto Calderoli sul ministro Kyenge: “Quando vedo le immagini della Kyenge non posso non pensare alle sembianze di un orango”. Indignazione e richiesta di dimissioni. Che dobbiamo pensarne, se non siamo abituati ad associarci alle cagnare?
In primo luogo, ovviamente, che il buon gusto non è la principale caratteristica di Calderoli. Lo si è visto più di una volta. In secondo luogo, che le osservazioni malevole sono particolarmente indigeste quando si fondano su caratteristiche fisiche vere o presunte. E si potrebbe continuare su questo registro, ma basta vedere la reazione dell’opinione pubblica. Infatti pare che tutti i giornali e tutti coloro cui viene teso un microfono della televisione si siano accordati per dichiarare Calderoli “sacer” in senso latino: sacro, sì, ma come una bestia che chiunque può sacrificare agli dei, senza essere punito. Insomma una sorta di condanna a morte che può eseguire il primo che lo incontra.
Ci sarebbe da essere lieti, se questa reazione corale si avesse ogni volta che qualcuno insulta un altro. Ma così non è. Gli insulti più sanguinosi, come il turpiloquio, sono moneta corrente. Gli accenni ingiuriosi alle qualità fisiche sono frequenti: Berlusconi è un “nano” (anzi, uno psiconano), è apoditticamente  un evasore fiscale, un pregiudicato, un delinquente. È anche un rettile, un caimano, per la precisione. Monti accennò alla ‘statura’ di Brunetta. A lungo abbiamo avuto “Er Pecora”. A tutte le donne, se di centro-destra, non si risparmia la definizione di zoccole. O la descrizione del modo come hanno avuto successo in politica. Della Bindi hanno detto che è più bella che intelligente. E uno come Sgarbi sembra in grado di scrivere un’enciclopedia sul modo di trattare in malo modo il prossimo.
Anche il turpiloquio, come si diceva, è totalmente sdoganato. Al prossimo si può dare pressoché impunemente dello stronzo e del coglione, gli si può chiedere che cazzo vuole e mandarlo a fare in culo. Anzi, il vaffanculo è divenuto un programma politico. Ecco perché, nel momento in cui a Calderoli si chiede addirittura di dimettersi, si è imbarazzati. Questo corpulento energumeno verbale è certamente colpevole, sì, ma come sono colpevoli decine e decine di altri. E se una legge – anche sbagliata – è applicata a tutti, siamo nella legalità. Se invece una legge – anche giusta – è applicata solo a uno, siamo dinanzi ad un arbitrio repressivo individuale.
 Ecco perché è difficile essere veramente severi con Calderoli. Oggi come oggi, condannare qualcuno per una cosa del genere corrisponde a violare la par condicio, come avrebbe detto la Buonanima con la erre moscia. O reprimiamo ogni forma di ingiuria e di cattivo gusto verbale, o accettiamo che, anche se il codice non ha cambiato opinione, l’ha certo cambiata la società. Personalmente ricordo una sentenza della Cassazione che assolveva la parola “stronzo”: era più o meno un insulto amichevole.
Rimane il punto essenziale, quello che ha indotto tutti a strapparsi (doverosamente) le vesti: il fatto che l’insulto sia stato relativo alla razza. Lo scandalo per la parola “orango” non è grave in sé, ma perché rivolto a una donna di colore. Perché contrario alla political correctness.  Perché contrario alla moda. La stessa società che eleva il “vaffanculo” agli onori della storia si scandalizza se un insulto è su base non fisica soltanto, ma razziale. Se della signora Carfagna si dice che ha fatto carriera superando gli orali con Berlusconi, la cosa non è grave. Perché il sesso, in tutte le sue forme, non è razzismo. E del resto una donna bella non può che essere un oggetto sessuale: questo la political correctness lo permette.
Il diritto penale dovrebbe essere una cosa seria. Non si può seguire la moda nel perseguimento dei reati, non si può seguire la moda nell’assoluzione o nella condanna dei rei. Nessuno più di me depreca l’andazzo della volgarità. Quando ero giovane uno che avesse detto nella buona società le parole “preservativo” o anche “omosessuale” sarebbe stato condannato alla morte civile. Ora mi si infligge la volgarità da mane a sera - e non parliamo del linguaggio dei comici! - e qualcuno si mette a fare il moralista? O mi liberate del turpiloquio e della licenza di ingiuria, o lasciate che sia il buon gusto degli ascoltatori a condannare chi sbaglia.
Anche se in questo campo non c’è da avere molte speranze.
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