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giovedì 6 febbraio 2014

A sua insaputa

  


In che modo reagisce agli imprevisti una struttura provata a tutte le intemperie come la Chiesa? Lo abbiamo verificato ieri, quando una suorina del Salvador di stanza a Rieti ha vinto il Premio Scajola 2014 «A Sua insaputa». Martedì notte le consorelle avevano telefonato in ospedale per denunciare i sintomi di una malattia misteriosa: la suorina aveva il ventre attraversato da forti dolori.
La visita di rito ha svelato l’enigma: gravidanza al nono mese. 
E qui sono cominciate le reazioni, tutte all’insegna dello stupore. 
«Non è possibile, sono una suora» ha detto la suora, come se la qualifica valesse da contraccettivo.
«Non potevamo immaginare una cosa simile» hanno aggiunto le consorelle, che avranno attribuito il pancione degli ultimi tempi a un’indigestione di panini imburrati.
Francamente esagerata la reazione della Madre Superiora: «Ha fatto tutto da sola».
E no, Madre: un “aiutino”, ancorché minimo, ci sarà pure stato, a meno di voler scomodare paragoni impegnativi 
Ma la Superiora si è superata quando ha detto: «Proprio non riesco a capire perché ci sia così tanta attenzione attorno a questa storia».
Azzardiamo una risposta: perché in un mondo annoiato a morte dal ripetersi monotono delle stesse miserie, il parto della suorina conserva una freschezza che il ricordo ormai sbiadito della Monaca di Monza non basta a offuscare. 
Come sempre è toccato a Papa Bergoglio metterci una pezza: al neonato è stato dato il nome di Francesco

domenica 2 febbraio 2014

Il pompino di Stato

 


Riferiscono i giornali che Massimo De Rosa ha detto alla deputata Alessandra Moretti - bellissima donna, tra parentesi - qualcosa di diverso da un apprezzamento. Ecco le sue parole: “Le deputate del Pd sono donne arrivate qui solo perché capaci di fare pompini”. Frase che la signora, se pure scusandosi, ha ripetuto pari pari durante una puntata di “Otto e mezzo”.
Quando dal “Corriere” gli è stato chiesto conto della sua “maleducazione”, De Rosa si è così giustificato: “Mi è scappato un insulto, mi scuso, ma non ce l’avevo con la Moretti. E comunque… Io ero anche uscito dall’aula, poi sono rientrato per prendere una cosa e quelle ancora lì, a dirmi che ero un fascista…”
La signora Moretti, prima di riferire le parole esatte in diretta televisiva, si è lungamente e preventivamente scusata per l’offesa alla sensibilità degli ascoltatori ed ha fatto bene, perché si è così distanziata da un mondo di becera volgarità: ma dell’offesa al buon gusto è sempre colpevole chi la commette, non chi la riferisce. Inoltre ha fatto benissimo a non usare perifrasi perché, se l’espressione è orrenda, è bene che gli ascoltatori e un giorno i magistrati questo orrore lo percepiscano. Scrivendo una querela, il penalista non usa affatto eufemismi: riporta senza arrossire le cose peggiori, anche per evitare che il difensore cominci poi a chiedere che cosa si intende per “insulti irriferibili” o se per caso il querelante non sia eccessivamente sensibile, quando si tratta di espressioni forti. Se vi gridano “figli di puttana”, querelate scrivendo che vi hanno gridato “figli di puttana”.
L’episodio richiede altri commenti. La frase di De Rosa è ingiuriosa; se tuttavia veramente le deputate del Pd hanno dato a quel gentile signore del “fascista”, si potrebbe configurare l’esimente della reciprocità delle offese (art. 599 C.p.). Nel momento storico attuale - momento che per questa parte dura da quasi settant’anni - dare del “fascista” è offensivo e ciò potrebbe sostanziare una scusante per l’elegante De Rosa. Né rileva che sia più grave dare della “professionista della fellatio” che del “fascista”: chi risponde alle ingiurie non è tenuto a graduare la gravità delle proprie sul metro di gravità delle altrui.
Ma è anche vero che: “Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 594 e 595 nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso”. E i “grillini” quel giorno ne avevano fatte di cotte e di crude. Dunque il giudice potrebbe dichiarare innocenti le deputate e colpevole il solo De Rosa, il quale non aveva diritto a reciprocare gli apprezzamenti.
Interessante è poi il fatto che tutto questo ragionamento potrebbe saltare se si pensasse – come è vero – che qui sono tutti pubblici ufficiali. E allora il reato da contemplare sarebbe l’oltraggio (art. 341-bis C.p.): “Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione fino a tre anni”. E – cosa interessante – in questo caso, secondo la giurisprudenza (almeno, la giurisprudenza d’un tempo) la reciprocità delle offese non può costituire un’esimente. Infatti il soggetto passivo (l’offeso) non è l’individuo ma lo Stato incarnato dal pubblico ufficiale. Il reato per giunta è procedibile d’ufficio, e la denuncia (querela?) delle sette deputate sarebbe stata superflua.
L’avvocato del De Rosa potrebbe tuttavia richiedere l’applicazione dell’art. 68 della Costituzione: “I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni”. È lecito avere l’opinione che un “grillino” sia anche un “fascista”? È lecito pensare che le deputate del Pd sono un po’ puttane? Del resto, l’avvocato potrebbe paradossalmente prospettare l’assenza di dolo, perché in questo modo sono state sempre trattate le deputate del partito di Berlusconi. E dal momento che non ne è scaturita alcuna conseguenza giuridica, il De Rosa poteva legittimamente dedurne che quella sia la normale appellazione per le deputate.
Il problema della liceità delle “opinioni espresse dai deputati nell’esercizio delle loro funzioni”, si pone anche per tale Giorgio Sorial (vedi caso anche lui del  M5S), che ha definito il Presidente Napolitano “boia”. Qui prevale la Costituzione (la legge di ambito superiore) o il codice penale (legge più specifica) con l’articolo che prevede l’oltraggio al Presidente della Repubblica?
Che peccato non disporre della tutela dell’art. 68 per poter dire ciò che realmente si pensa su certi politici e perfino sulla nazione italiana.
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