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sabato 15 febbraio 2014

Giorgio Napolitano ed il fumo

Sì, ha ragione Napolitano quando parla del fumo che c’è in giro. Ha solo dimenticato di dire chi lo sta realmente diffondendo e il perché, anche se è facile capirlo. Quando, infatti, si costruisce una ‘verità’ sulla menzogna è impossibile, soprattutto per un Capo dello Stato, poter fare marcia indietro. Deve necessariamente continuare sullo stesso piano, negando anche l’evidenza, e utilizzare il miglior metodo di difesa che è quello di accusare chi lo ha messo all’angolo di diffondere solo fumo senza alcuna sostanza.
Si sa che mister Q, forse per l’età, ha acquisito la sindrome del microfono e quando ne vede uno a portata non resiste e si libera piacevolmente dei suoi pensieri. La menzogna nasce da questo sua voglia di esternazione che lo ha portato, dinanzi ai parlamentari europei, a dichiarare, riferendosi ai governi Monti e Letta, che [gli stessi - ndr] «sono stati presentati quasi come inventati per capriccio dalla persona del presidente della Repubblica», ma ciò, ha detto, non è vero perché «non si tratta di nomi diversi da quelli indicati nel corso delle consultazioni con tutti i gruppi politici e parlamentari, come si conviene».
Ha voluto con quel “come si conviene” sottolineare che è normale che i nomi siano il frutto delle indicazioni che il Parlamento deve fare per dare la dritta al Presidente della Repubblica e sbloccare una crisi. Ma significa anche che (excusatio non petita, accusatio manifesta) è cosciente d’aver ‘violato’ le regole democratiche esautorando le Camere dal loro ruolo e vorrebbe far credere che ciò non è avvenuto. Ma quando le interviste di Friedman, con relativo sonoro, non concedevano spazio a negare che già nel giugno 2011 aveva contattato Monti, il signor Q si è rifugiato nella descrizione del «sempre più evidente logoramento della maggioranza di governo c» che lo ha indotto ad avviare contatti informali.
E cita «la rottura tra il Pdl e il suo cofondatore [avvenuta però nel 2010 ndr], il successivo distacco di numerosi parlamentari (stesso periodo della rottura con Fini ndr),… la lettera dal presidente della Bce Trichet e dal governatore Draghi» (agosto 2011 ndr). Ma i contatti con Monti non sono di giugno 2011? Questa atteggiamento giustificazionista è comunque il la per la musica a sostegno (classico fumo che si distribuisce per sbiadire e nascondere le verità – un assist ai sostenitori a prescindere) a cui non si sottrae neanche Enrico Letta che pronto denuncia il «vergognoso tentativo di mistificazione della realtà», dichiarazione che si adatta meglio ai contenuti della lettera di Napolitano al Corsera piuttosto che alle giustificate note di protesta dei dirigenti di Forza Italia.
A novembre del 2011 furono create, comunque, le condizioni con le vendite dei Btp italiani da parte della Deutsche Bank che ha determinato un effetto domino facendo schizzare lo spread a quota 553 punti, dai 150/200 registrati al precedente giugno 2011 durante il quale Napolitano aveva sondato Monti. Sentire quindi Letta sostenere che «il Quirinale si attivò di fronte ad una situazione fuori controllo, con efficacia e tempestività per salvare il Paese» fa accapponare la pelle. Chi lo mise fuori controllo? Chi decise che bisognava passare dai sorrisetti di scherno della Merkel e Sarkosy a vie di fatto concrete? Perché fu allettato Monti con la nomina a senatore, o fu lui che la pretese pur non avendo i prescritti requisiti che sono quelli di “aver illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario?”
Si può riempire di fumo ogni angolo, ma non basterà a far decantare la situazione. C’è un Paese che aveva scelto da chi farsi governare, ma si è operato per ottenere la sua messa fuori gioco. Non si vuole chiamare quanto è avvenuto ‘colpo di stato’? Chiamiamolo almeno uso spregiudicato del proprio ruolo e ci si assuma ogni responsabilità rinunciando al ruolo di senatore a vita che compete dopo le dimissioni. Non siamo forcaioli e mozzorecchi e, quindi, non ci piace vedere il sangue, ma almeno si abbia il decoro di fare un passo indietro.

Matteo Renzi fra immagine e sostanza

Eppure, fino all’altro ieri, Renzi diceva sorridendo ai suoi tanti intervistatori che il governo Letta non correva alcun pericolo, e che un cambio dell’esecutivo in questo momento sarebbe stato conveniente per lui ma non per l’Italia. A seguire una serie di dichiarazioni in cui prevaleva il senso di responsabilità nei confronti del Paese.
Vorrei subito chiarire che qui non è in gioco il giudizio su Enrico Letta, sui suoi ministri e la compagine governativa da lui guidata. E’ noto che tale giudizio è in gran parte negativo, direi quasi all’unanimità. Le accuse di immobilismo si  sono susseguite negli ultimi mesi a ritmo pressoché costante, unite ai pressanti inviti a muoversi, a far presto, a dare segnali forti all’opinione pubblica nostrana e internazionale.
Tuttavia ciò che sta accadendo è a dir poco stupefacente. Non solo il sindaco (credo ormai ex tale) di Firenze ha smentito con i fatti le dichiarazioni di cui sopra. Ha pure mandato a gambe all’aria l’intero quadro politico costringendo tutti a riposizionarsi, più che in fretta, all’istante. Ormai anni e mesi non contano, si ragiona sulla base dei giorni o – ancor meglio – dei minuti.
Matteo Renzi sembra posseduto da una voglia terribile di sedersi subito sulla poltrona di premier per “uscire dalla palude” e iniziare finalmente il nuovo corso di cui parla sin da quando ha iniziato ad affacciarsi sulla scena della politica nazionale.
Qualcuno però ha capito davvero in cosa consista tale nuovo corso? Chi scrive confessa candidamente di non averlo compreso e, stando ai commenti su giornali e TV, è in numerosa compagnia.
Stupisce la facilità con cui la stragrande maggioranza del PD ha accettato il cambio di rotta in pratica senza fiatare, ivi inclusi esponenti di primo piano che pure avevano osteggiato Renzi con forza fino all’ultimo istante
E stupisce ancor più che un uomo mai eletto in parlamento venga catapultato improvvisamente a Palazzo Chigi.
Poiché un dato è certo. A parte gli anni – ma neanche troppi – trascorsi a Palazzo Vecchio come sindaco del capoluogo toscano, l’unica vittoria elettorale conseguita dal nostro è quella decretata dai gazebo in cui si sono svolte le primarie del Partito Democratico. Vittoria certamente corposa, ma limitata a una parte ben circoscritta del Paese.
Dobbiamo dedurne che, ormai, è sufficiente vincere le primarie PD per diventare primo ministro? Sembra proprio di sì, poiché sono i fatti ad attestarlo. Ma, allora, è necessario trarre ulteriori deduzioni.
Il parlamento sta diventando, più o meno, inutile. Si limita a registrare quanto avviene altrove. Inutili pure le elezioni politiche (intendo quelle vere, non le primarie di un partito). La volontà del corpo elettorale nella sua interezza si rivela ogni giorno di più un orpello, un semplice accessorio dal quale è meglio prescindere per evitare eventuali complicazioni.
Penso sia ingeneroso attribuire al solo politico toscano, e alla sua smisurata ambizione, tutte le colpe. Renzi non è la causa, bensì la conseguenza di una situazione anomala che stiamo vivendo ormai da troppo tempo. L’Italia si trova in uno “stato di eccezione” da anni, e le vere colpe vanno ricercate nell’incapacità della classe politica di restare in sintonia con il Paese reale.
Si percepisce ovunque la voglia dell’uomo “forte”, in grado di rovesciare cinicamente la parola data, di imboccare qualsiasi scorciatoia pur di raggiungere i propri obiettivi. Ora però siamo arrivati al dunque, giacché Matteo Renzi dovrà dimostrare di essere “forte” sul piano dei fatti e non solo a livello d’immagine.

I segreti di Renzi

Ci deve essere qualcosa che non sappiamo, perché alla luce delle cose che si sanno non si capisce proprio come possa Renzi sperare di riuscire a fare quello che Letta non è riuscito a fare con la stessa maggioranza, con lo stesso PD, con lo stesso Alfano, con lo stesso Napolitano. I grandi sofisticati commentatori sono concordi nell’affermare che il governo Letta era debole e che quello di Renzi sarà più forte. Ma non si capisce proprio su cosa basano questa affermazione.
Non può essere solo la disinvoltura tattica di Renzi e il suo linguaggio informale, non omologo e non conforme.
O forse è proprio il PD diverso, molto diverso, quello che spiega tutto?
Che il PD sia cambiato a seguito delle primarie e della nuova direzione è evidente, ma che sia cambiato al punto da congelare un governo guidato da uno suo importante leader (Letta) e da consentire l’operatività di un altro governo guidato dal suo segretario (Renzi), è un vero enigma. Difficile crederlo senza qualche ulteriore informazione o spiegazione. Per ora non disponibile. Sembra però evidente che il partito che ha dato la fiducia e l’incarico a Letta non è il partito che adesso porta Renzi al governo.
Un cambiamento così radicale doveva essere nelle cose da molto tempo ed era stato tenuto nascosto, negato o semplicemente non capito da una direzione politica accecata dalla hubris della “diversità” del PCI/PDS/DS/PD e dalla finzione pseudo-bonacciona emiliana di Bersani: dietro le metafore nulla.
La prima cosa incomprensibile è la inerzia operativa del governo Letta. Per quale ragione non è riuscito a combinare nulla se non ad aumentare il carico fiscale a livelli letali per le imprese e per l’economia: lui incapace? i ministri incapaci? Grandi avvocati, grandi tecnocrati, vertici di Banchitalia, super burocrati di esperienza trentennale….inetti? incapaci? … è vero che secondo la nota legge ognuno viene promosso fino al suo livello di incompetenza, ma qui siamo a livelli siderali: mai la legge di Peter avrebbe avuto una conferma così completa e clamorosa. Personaggi che prima di andare al governo erano veri Ras dello loro burocrazie, improvvisamente balbettano e compiono errori pacchiani (cfr Cancellieri, Saccomanni…).
C’è un segreto dietro questa impotenza? Un sottile veleno che inquina le sale dei palazzi romani e induce insipienza anche nelle persone più capaci e competenti?
Oppure è la viscosità delle macchine burocratiche della democrazia che è arrivata allo stadio finale dove tutto si blocca per una infinità ineffabile di motivi:The end of power”? Letta non l’aveva capito? Se lo aveva capito il suo modo di affrontare il problema non ha funzionato. Il negoziato, la mediazione democristiana, l’infinita elaborazione di compromessi, il consumarsi verbale nell’immobilità, evidentemente non funziona più, se mai ha funzionato.
Ma Renzi lo avrà capito?
Dunque una prima spiegazione dell’enigma è che dall’esterno non ci si rende conto del radicale cambiamento avvenuto nel PD: dopo trenta, quaranta anni di ingessatura frattocchiana, di verbalità inutile e reazionaria sul “cambiamento” e sulla sua gestione, i compagni non si sono accorti che il partito gli era cambiato sotto … le chiappe, troppo attaccate alle poltrone. Credevano di essere segretari di un partito, ma in realtà erano segretari di un altro partito,  ma non sapevano quale era. Il cambiamento era avvenuto “a loro insaputa”, pare sia un costume corrente. Dormivano al volante.
Dopo aver preso atto che il partito è cambiato si tratta di sapere come è cambiato.
Questo potrebbe essere un secondo segreto di Renzi: conosce il nuovo PD e sa farlo funzionare?
Oppure Renzi si è reso conto che in un mondo che parla per sottintesi, per metafore e glosse ambigue, per “qui lo dico e qui lo nego”,  basta parlare “pane al pane”, andarci dentro “pari” come si dice a Vignola, per far saltare il banco. La tigre è una tigre di carta. Il muro è carta velina.
Di fronte alla massima semplificazione dialettica, tutto il complesso armamentario verboso frattocchiano e democristiano si spappola: il re è nudo e tutti lo vedono in mutande.
Difficilmente sapremo quale è, se c’è, il segreto di Renzi. Per adesso restiamo con il dubbio che non ci siano segreti, che what we see is what we get”.
Sta succedendo qualcosa che non è mai successo prima e nessuno riesce ad aver una idea di come potrà  svolgersi il futuro politico di questo strano Paese: una società brillante, una cultura d’avanguardia, una classe politica dirigente squallida.
La più grande fiction democratica del mondo occidentale.
 Assolutamente inspiegabile al di fuori dai confini nazionali. 
La disinvoltura con la quale si affronta la svolta è magnificamente Italian. La Grande Bellezza.
O no?

venerdì 14 febbraio 2014

Tutto e subito, o la va o la spacca...

Che per Renzi sia l'inizio dell'autoaffondamento? Se questo avverrà, non sarà solo per colpa sua, ovviamente: il sindaco di Firenze non può non essere espressione del mondo politico italiano, sia pure dotato di molto spirito di iniziativa in più rispetto alla media.
In effetti, raramente mi è successo di sentire una discussione di livello più basso di quella nella direzione del PD di ieri – a volte le trasmissioni in streaming sarebbero da evitare, come ben sapevano i culi di pietra del CC del PCUS e i loro compagni italiani d'annata –; una discussione dai contenuti spesso miserabili e dalle argomentazioni frequentemente stravaganti.

Non si è sentito un accenno su programmi, problemi, guai dell'Italia, ma solo polemiche più o meno serie, più o meno rozze, su «Renzi sì» e «Renzi no», con la solita palude che corre in soccorso del vincitore. Ma Renzi dovrebbe sapere che la palude è sempre infida.
Del resto il compito del gruppo renziano e dei suoi fiancheggiatori, fattosi maggioranza a valanga nel giro di pochi giorni, era ieri davvero acrobatico: affondare un compagni di partito capo del governo – e coesponente per giunta della stessa area cattocomunista che sembra ormai guida indiscussa dell'ex-Pci –; evitare di indisporlo con una valutazione troppo pesante del pochissimo che ha fatto insieme alla delegazione parlamentare del suo stesso partito; indicare come successore – ignorando il ruolo del PdR – un suo compagno di partito che nel frattempo è segretario politico e sindaco di Firenze, imponendogli la stessa maggioranza del governo uscente, con l'obiettivo di fare tutto quello che fino ad ora non si è riusciti a fare, e restando di fatto nel vago. Alcuni pensano addirittura che a questo punto Renzi si guardi bene dal chiudere subito sulla legge elettorale, conservandola per i momenti peggiori come Penelope la sua tela: durare fino alla fine naturale della legislatura, legando la propria longevità a quella del governo, è un obiettivo ghiotto per molti che sanno di non aver speranze nelle prossime elezioni...
Insomma, il cambio non poteva essere gestito in modo peggiore, pressato ormai da molti dei poteri che condizionano la politica, che si sono convertiti al renzismo in poche settimane, e con un Letta incapace di reagire in maniera sensata.
Ma qualcosa di sostanziale balza all'occhio in tanta confusione: l'incapacità del PD di considerarsi un partito normale fra i molti, e la sua inveterata e storica tendenza a considerarsi partito unico. Ecco allora la tendenza PD a confondere il successo nelle proprie primarie con una candidatura universale; ecco l'idea che ogni contraddizione si debba riassumere e riassorbire nella dialettica interna al partito, in grado di far sintesi di tute le posizioni politicamente «ortodosse» (le altre si distruggono con adeguate «campagne di opinione»), con la coincidenza anche fisica del capo del partito col capo del governo: non era mai successo neppure in Unione Sovietica. Il Corriere intanto, convertito di fresco, suona la grancassa e dedica oggi mezza pagina al parrucchiere di Renzi, alla faccia del berlusconismo come malattia unica e propria solo dell'arcidiavolo nazionale.
Molti – anche di tradizioni liberali – osservano le clamorose e mirabolanti novità giorno per giorno, nella timida e un po' vigliacca speranza che Renzi sia «l'uomo giusto» – stavo per scrivere «l'uomo della Provvidenza»... Tutto viene tollerato e quasi auspicato augurandoci che qualcosa così cambi davvero, infondendo nuova autorevolezza alla figura del presidente del Consiglio ed i suoi ministri – che peraltro saranno tutti inesperti come i loro predecessori –: come se una Boldrini costituisse un passo avanti rispetto a una Cancellieri... a parte i problemi che sorgeranno non appena si vorrà por mano alla loro lista.
Intanto le elezioni súbito vengono definite da chi dovrebbe averle indette da un pezzo come «una sciocchezza». E gli altri stanno a vedere l'effetto che fa, affascinati dall'idea – che temo si rivelerà ben presto fallace – che finalmente un «uomo di polso» possa risolvere i problemi che l'invertebrato Letta e i suoi ministrini si erano rivelati incapaci perfino di affrontare.
Peccato che, magari pressato da amici interessati e dalla fretta, Renzi abbia imboccato una strada cieca, mostrando forse per la prima volta in modo chiaro di che stoffa sia fatto: facendo prevalere l'occasione del potere immediato rispetto ad una – del resto possibilissima– sanzione elettorale e democratica in tempi un po' più lunghi. È un'offerta provenuta da troppi gruppi, e troppo diversi, per non essere un dono potenzialmente avvelenato.
Intanto l'Italia “di fatto”, dal punto di vista istituzionale, è sempre più lontana da quella che imporrebbe la obsoleta, ma tuttora vigente, “Costituzione più bella del mondo”. Così Renzi rischia moltissimo di bruciarsi, nella generale balcanizzazione della politica italiana. Auguri (a noi).

giovedì 13 febbraio 2014

Il congresso infinito....

Antonio Polito