Powered By Blogger

sabato 1 marzo 2014

Governo sul filo e senza rete

L'Opinione - Pare che i 60 miliardi promessi da Matteo Renzi alle imprese con crediti verso lo Stato siano un terzo. E questo terzo sia formato in gran parte dai miliardi già versati alle imprese nel quadro delle misure varate a suo tempo dal Governo Letta.

Pare poi che i famosi tagli alla spesa pubblica previsti dal commissario Carlo Cottarelli non riusciranno a coprire il fabbisogno necessario a finanziare i dieci miliardi previsti per la riduzione del cuneo fiscale. E pare, infine, che passata l’euforia per le miracolistiche promesse pronunciate in Parlamento e in tivù dal nuovo Presidente del Consiglio, i conti incomincino a non tornare ed a far sospettare che non siamo alla vigilia di alcuna resurrezione economica.

L’edificio governativo, in sostanza, non è ancora stato ultimato ma già è oggetto di sinistri scricchiolii. Che non provengono solo dalla parte economica e finanziaria, ma anche e soprattutto dalla parte politica che dovrebbe essere il suo più solido fondamento. Non è un caso che il ritorno di Pierluigi Bersani alla Camera, con annesso abbraccio volutamente significativo all’asfaltato Enrico Letta, sia coinciso con il ritorno in campo di Massimo D’Alema, fino a ieri ufficialmente interessato solo alle grandi questioni europee e da ieri di nuovo intrigato dalle vicende interne del Pd.
E non è affatto un caso che mentre Pippo Civati ha confermato di lavorare alla preparazione di un gruppo autonomo chiamato Nuovo Centrosinistra, l’ex segretario del partito Guglielmo Epifani abbia avvertito l’esigenza di manifestare in un’intervista al Corriere della Sera tutte le perplessità sue e della maggioranza dei parlamentari del Pd per la nuova fase politica segnata dall’ascesa a Palazzo Chigi di Matteo Renzi. Nessuno pensava che la tradizionale luna di miele del Governo potesse durare troppo a lungo. Ma nessuno avrebbe mai immaginato che già all’indomani del voto di fiducia la spinta propulsiva del nuovo Governo venisse frenata dalle barriere provenienti dal partito del Premier.
L’aria che tira non è delle migliori per Renzi. Che da adesso in poi deve vedersela non tanto con le resistenze dei partners della coalizione, con l’opposizione oltranzista dei grillini e quella “costruttiva” di Forza Italia, ma con le oggettive difficoltà di una situazione economica che non consentono miracoli di sorta e con l’azione di logoramento avviata dai suoi irriducibili avversari interni del Partito Democratico.
In queste condizioni appare irresponsabile e ridicola la battaglia che i “cespugli” centristi ed i malpancisti del Pd stanno facendo contro l’approvazione della legge elettorale. Il Governo può cadere da un momento all'altro lasciando come unica alternativa la necessità di andare ad elezioni anticipate. Ma non solo la nuova legge elettorale non viene approvata, ma si cerca di rinviarla il più lontano possibile legandola alla approvazione della riforma costituzionale per l’abolizione del Senato. E non per un qualche superiore interesse del Paese, ma per l’evidente interesse degli attuali parlamentari entrati alla Camera ed al Senato con il “Porcellum” di continuare a mantenere la propria poltrona ed il proprio stipendio il più a lungo possibile.
Certo, in caso di estrema necessità si potrebbe sempre andare a votare con la legge elettorale realizzata in maniera dissennata dalla Corte Costituzionale. Ma perché non mettere una rete un po’ più solida sotto un Governo che cammina sul filo e può facilmente precipitare a terrà?

venerdì 28 febbraio 2014

Se Renzi flirta piu' con Berlusconi che con il PD una ragione c'e'


Un corteggiamento che corre sul filo del telefono, tra Palazzo Chigi e Palazzo Grazioli, tra il Castello di Arcore e la casa di Pontassieve. Un amorevole pissi pissi, e un solido orizzonte comune: le elezioni anticipate, anche se – shhh – non si può dire. Ed è una corrispondenza perfetta, perché da parte del Cavaliere prevede anche il graffio e l’attacco del Giornale di riferimento, talmente innamorato da costringersi, ancheggiando un po’, a tenere il muso al governo. Così Denis Verdini già si divide in due, gioca tutte le partite, rassicura il Sovrano di Arcore, gli dice che l’accordo sul nuovo sistema di voto non è in discussione (“Matteo rispetterà i patti”). Ma nel suo gioco spettacolare Verdini tiene insieme anche la partita delle nomine, invade il campo che fu del solo Gianni Letta, e dunque discute con l’ambasciatore renziano Marco Carrai, tratta, tesse, baratta: la legge elettorale, sì, ma anche i posti di comando nelle società che fanno capo al Tesoro. Eni, Enel, Finmeccanica, Poste, Ferrovie, Terna… Tutto si tiene.
Adesso il Cavaliere sorride seducente: “Ho sempre predicato che bisogna farsi amare dai propri avversari”. Poi, ammiccando verso il compiaciuto Verdini: “In fondo Matteo è il mio carissimo competitor”. E Renzi stesso non saprebbe dire quanto Berlusconi gli si è rivelato. La pantomima raggiunge nel Cavaliere una grazia acrobatica, nel suo fascino c’è anche una sfacciataggine o una sapienza di istrione. Renzi lo sa, e dunque un po’ diffida (ricambiato). Ma certo è che il giovane presidente del Consiglio ha anche l’impressione di avere più amici nell’opposizione, dove persino Daniela Santanchè fatica molto a occultare il suo sguardo innamorato, che nella maggioranza dove siede Pier Luigi Bersani. 

“Se ce la fa, bene. Sennò bene lo stesso”
Dipende dalla legge elettorale, in definitiva dipende da Matteo. Così, l’altro giorno, il Cavaliere è rimasto incuriosito dal libro che Renzi ha portato alla Camera: “L’arte di correre”, di Haruki Murakami. Raccontano che a casa Berlusconi sorrideva silenzioso, una sfinge, socchiudendo gli occhi come fessure orientali. E una battuta, più seria che faceta: “Corri, Matteo, corri”. Il Sultano di Arcore non è oberato da complicazioni esistenziali, si tortura per i guai con la giustizia, ma appare ancora padrone nel suo godereccio disordine. E ancora riempie lo schermo della politica con la sua vasta, gaia, cinica presenza. Così, con le sue troppe telefonate, e attraverso le mascoline pacche di Verdini, è Berlusconi che ha stretto con Renzi il vero patto di legislatura.

L'uomo della demolizione

Matteo Renzi è un uomo ambizioso. Straordinariamente ambizioso. Ed è anche molto intelligente quantunque in questi giorni i suoi avversari, la maggior parte dei quali risiede nel suo stesso partito, cerchi di accreditare l’immagine di uno spaccone, un ballista, inesperto e avventurista, un venditore di sogni o pentolame con ciò replicando l’errore fatto con Berlusconi cui non a caso si attribuivano analoghi appellativi e le cui fortune politiche erano semplicisticamente spiegate con il controllo delle televisioni.
Favorirono sottovalutandolo  così una carriera politica tra le più lunghe e brillanti della storia Repubblicana che, per quanto inevitabilmente in fase discendente, è ancora lontana dalla sua conclusione.
Renzi vola alto e le sue mire vanno oltre quella di restare per qualche mese o anno a Palazzo Chigi. Vuole passare alla storia come colui che è riuscito a cambiare l’Italia.
La diagnosi dei mali del paese è facile come semplice è individuarne l’eziologia, per quanto in questi anni sia stata attuata una gigantesca azione di depistaggio.
La vera “casta” non è, infatti, quella dei “politici” ma di quei fasci conservatori che si sono insediati nei posti nevralgici del paese, ne succhiano la linfa e, soprattutto, si battono contro ogni tentativo, ancorché timido e parziale, di cambiamento.
Intendiamoci, non voglio con ciò assolvere la classe politica dalle sue responsabilità ché non hanno saputo opporsi a questo disegno per inettitudine, paura, compromesso o complicità ed hanno preferito il comodo ruolo di ancelle di quei poteri, di quelle forze reazionarie che non sono mai passate attraverso il vaglio del voto popolare, ma quello di un concorso, di una carriera più o meno automatica, di escalation per amicizie, frequentazioni, relazioni o connivenze e che hanno saputo tessere rapporti di reciproco interesse con il mondo finanziario, imprenditoriale, sindacale e persino culturale.
Se non si smantella questo sistema non vi è alcuna speranza di cambiamento.
Renzi lo sa bene e ne era cosciente anche Silvio Berlusconi che per anni, nell’indifferenza generale, denunciava come l’esecutivo fosse sostanzialmente inerme di fronte ad un sistema ed incrostazioni di potere che avevano la forza di vanificare ogni legge o provvedimento che non gli garbasse.
Se Renzi dice le stesse cose che il Cavaliere sostiene da lustri, perché il giovane Premier dovrebbe riuscire dove l’anziano Leader del centrodestra ha clamorosamente fallito? Berlusconi aveva molto da perdere: le sue aziende e probabilmente qualche scheletro nascosto.
Così quando gli si è scatenata  l'opposizione il Cavaliere ne è rimasto fiaccato e intimorito. Ha cercato, alla fine, di sopravvivere scoprendosi impotente, tradito dai suoi stessi alleati.
Renzi non aveva niente da perdere, se non una modesta carica di Sindaco, non ha verosimilmente alcunché da celare. Con il discorso di insediamento si è tagliato i ponti alle spalle. Quando, infatti, ha indicato un timing stringente per i provvedimenti che il suo governo intende prendere ha assunto un impegno che non potrà non onorare pena la perdita di ogni credibilità.
Un altro buon motivo per cui dovrebbe riuscire laddove il Cavaliere ha deluso sta nel fatto che mentre quest’ultimo aveva in Parlamento e nel paese un’opposizione feroce ed agguerrita, l’attuale Premier ha un patto con il Leader del centrodestra, nemmeno tanto segreto, i cui termini possiamo intuire nelle grandi linee.
La vera arma del neo Premier è tuttavia la sua leadership.
Nel suo discorso di insediamento al Senato Renzi è sembrato rivolgersi più al paese che ai Senatori stessi verso i quali ha avuto, a tratti, espressioni al limite dell’insolenza. Era un modo per far capire che non si aspetta niente dai membri di Palazzo Madama, non ha bisogno di loro perché la sua vera forza la troverà nel voto popolare che si terrà molto prima di quanto molti osservatori politici si aspettano.
E qui che la sua strategia si salda con quella di Berlusconi. Andare al voto in modo che Renzi possa ottenere quell’investitura popolare che ora gli manca e che gli consentirà di mettere il turbo alle riforme.

giovedì 27 febbraio 2014

Lo stile "renziano"


Osservando il tenore dei commenti, lo «stile renziano» – ormai si può dire così – costituisce più che altro, per gli addetti ai lavori, l’occasione per dargli addosso o elogiarlo su alcuni contenuti. I soliti contenuti, spesso nemmeno quelli di fondo. Così al centro del dibattito c’è la ventilata ipotesi di mazzate patrimoniali, la imminenza o meno della riforma elettorale; mentre di veramente nuovo ci sarebbe il ruolo delle varie componenti del PD nel governo e nel partito stesso, diventato anche per colpa degli altri una sorta di partito unico e pigliatutto, fra la sostanziale indifferenza di tante vestali della democrazia: ormai è diventato difficile distinguere fra Stato e Partito, fra cariche dello Stato e cariche del Partito, fra opposizione all'interno del partito medesimo e opposizione «costituzionale».
Altro che ventennio fascista... direi che pochi sono i regimi che hanno potuto contare su un così totale controllo del potere costituito, in tutte le sue articolazioni. Ma non sarà certo il cattolico di sinistra Renzi ad accorgersene, lontano come si trova dal mondo e dalla cultura liberale. Anzi, proprio lui, rivestendo la singolare posizione di segretario del Partito e presidente del Consiglio, incarna uno degli aspetti più singolari e inquietanti di questo nuovo stile.
Così, mentre si discute di cose che fra l’altro probabilmente non si faranno, di gradino in gradino, di governicchio in governicchio, lo Stato si sgretola – pur senza dimagrire –, le istituzioni vengono colonizzate, i comportamenti si imbarbariscono, la "Costituzione più bella del mondo" diventa sempre più, in mano a soggetti tutt'altro che neutrali, uno strumento di gestione del potere e perfino di appoggio per i compagni di cordata: con il compiacimento di quelli che la vogliono immutabile, avendo il potere esclusivo di "interpretarla".
Il nuovo "stile renziano" piomba insomma – ha ragione Marsonet – come una clamorosa novità in uno stagno che di novità non vuol saper nulla – lo si vede dalle reazioni, come si diceva sopra. Ma visto il contesto, proprio il più che probabile fallimento alla prova dei fatti dell'ex-sindaco di Firenze, invece di un petardo che fa tanto rumore per nulla, potrebbe rivelarsi una vera e propria mina posta sotto un sistema di potere che si basa sulla asserita intoccabilità delle cariche e che non è più difeso dai velami della «correttezza istituzionale», formalmente squarciati dai grillini e sostanzialmente rimossi da un Renzi che ha dismesso i tradizionali panni curiali del Primo Ministro. E potrebbe anche essere l’inizio, probabilmente involontario, di una vera frana: in un modo o nell'altro, gli Italiani si chiederanno una buona volta che fare per cambiare davvero un sistema di potere che – giorno dopo giorno – si sta dimostrando devastante per il Paese.