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sabato 13 giugno 2015

L'inutile ottimismo del Premier

I quotidiani assomigliano sempre più alla televisione della sera prima e la tv al Minculpop di un passato tutto da dimenticare. La carta stampata si rifugia nella cronaca che la tv le commina per evitare di pensare.
Di fronte a un mondo della comunicazione che ci sommerge quotidianamente di «informazioni che non producono conoscenza», compito dei media di carta dovrebbe essere quello di fornire una spiegazione dei fatti che produca conoscenza, cultura politica, coscienza civica. Invece, accade ciò che il filosofo Benedetto Croce aveva già denunciato anni fa: il nostro giornalismo teme di pensare, ha paura di pronunciarsi, evita di compromettersi.

Ma, così facendo, viene meno alla propria funzione, che dovrebbe essere appunto quella di individuare il nesso causale fra i fatti e spiegarne la logica. I fatti, così come sono raccontati, prima dalla televisione, poi dai giornali che ne sono l'eco, non significano nulla; al massimo – limitandosi a elencare gli scandali senza spiegarne e ragioni – producono ondate populiste di rifiuto della politica. La cultura civile non fa un passo avanti, neppure a spingerla, e il giudizio che si diffonde è il rigetto della politica alla quale si attribuiscono anche colpe che non ha. Di questo passo, il Paese finisce nelle braccia del primo demagogo di turno come era successo nel '22, quando – di fronte agli incidenti del dopoguerra – gli italiani si erano affidati a Mussolini nella convinzione che avrebbe messo ordine, dopo di che sarebbe stato facile liberarsene. 
Abbiamo visto com'è andata a finire. 
È questa, del resto, la ragione per la quale io diffido di Matteo Renzi. Si era presentato come un innovatore, che avrebbe cambiato il sistema politico, rottamando la vecchia classe dirigente. Si è ridotto a essere un presidente del Consiglio analogo a quelli che lo hanno preceduto e che lui avrebbe dovuto mandare a casa, in pensione.
È aumentata la spesa corrente, che alimenta il debito pubblico, la vera palla al piede del Paese creata dai governi del passato; è cresciuta la disoccupazione, soprattutto giovanile, perché il sistema economico – massacrato dalle tasse – non produce ricchezza e non crea nuovi posti di lavoro. L'economia è ferma e non dà segni di volersi e potersi muovere speditamente come dovrebbe. È del tutto inutile che il capo del governo distribuisca ottimismo ogni volta che compare in pubblico. Se si limita solo a distribuire ottimismo e l'Italia resta com'è, lui, di fronte all'assenza di cambiamento, perde consensi. Dovrebbe, invece, fare ciò che non è riuscito a Berlusconi dopo il 1994: ridurre drasticamente la pressione fiscale e riformare l'apparato burocratico, delegiferando e deregolamentando. Abbiamo uno Stato troppo presente a ogni livello, vuoi per le troppe tasse, vuoi per la troppa burocrazia. Qualche buona iniezione di mercato ci farebbe bene. Perché non la si fa? Renzi, che finora ci ha raccontato che lui chiama pane il pane e vino il vino, sull'argomento non si pronuncia, limitandosi a promettere riforme che, poi, non ha palesemente alcuna intenzione di fare – perché sa che gli costerebbero il sostegno della Pubblica amministrazione dalla quale dipende come dipendevano i suoi predecessorie che non farà. Ma, in tal modo, crea le condizioni del proprio stesso fallimento. Le prime avvisaglie sono già comparse.
Che piaccia o no, è una questione di cultura politica. L'Italia è ferma al 1948al compromesso istituzionale fra quella parte della Resistenza democratica che voleva portare il Paese in Occidente e quella che lo voleva portare all'Est, fra le democrazie popolari dell'Europa centrale e orientale, dominate dall'Unione Sovietica. Paghiamo il prezzo di non aver saputo ripensare il fascismo chiedendoci, innanzi tutto, che cosa aveva rappresentato, e ancora spesso rappresenta, per molti italiani e che cosa è stata la vittoria sul fascismo da parte di un Resistenza che, in realtà, è stata una doppia Resistenza; una democratico-liberale, l'altra filosovietica. Il duplice equivoco continua a condizionare la nostra cultura politica e a impedire al Paese di entrare nella modernità. A suo modo, quello di modernizzare l'Italia era stato anche il tentativo che aveva fatto il fascismo, ma si sa a quale prezzo; non si baratta la libertà con la modernità. Il prezzo che continuiamo a pagare è che non siamo usciti dal guado. Siamo ancora un Paese a metà di mercato e a metà corporativo, collettivista e dirigista. Io che sono vissuto a lungo in Urss e ho conosciuto le democrazie popolari constato che ogni giorno l'Italia assomiglia sempre più all'Urss e al socialismo realizzato: una serie infinita di ostacoli burocratici, di lentezze amministrative – dove occorrerebbe maggiore dinamismo – e la presenza di uno Stato capace solo di opporre ostacoli a chi vuole darsi da fare; una popolazione che si aspetta dallo Stato ciò che essa stessa dovrebbe fare e che sta perdendo la capacità di industriarsi e di risolvere da sé i problemi che si aspetta sia la Pubblica amministrazione a risolverle. Con la sua retorica ottimistica, Renzi avrebbe dovuto dare la sveglia all'Italia addormentata da tale cultura politica. Se non lo ha fatto, e non lo fa, è perché anche lui è figlio di questa stessa Italia. Sveglia ragazzo!

Sporcarsi le mani

Bella, la relazione di Marco Gay all’annuale convegno dei giovani confindustriali. Affilata e precisa, senza concessioni alla facilità di comunicazione. A parte qualche gioco di parole, che immagino si troverà nei titoli (perché alla comunicazione banale concorrono comunicatori e giornalisti, ignorandosi chi sia l’uovo e chi la gallina). Ne metto in evidenza sei punti, che ne descrivono contenuto e taglio. In corsivo il riassunto di quanto detto da Gay, che di quei giovani è presidente.
1. Non possiamo continuare a cambiare le norme e i riferimenti fiscali, nel frattempo rispedendo al mittente finanziamenti europei non utilizzati. Ovvio, si dirà. Mica tanto, visto che ad ogni riforma i mezzi di comunicazione annunciano il cambiamento del mondo, così incentivando il politico desideroso d’apparire più a sventolare bandiere che a contabilizzare risultati. Si potrebbe mettere una regola: ogni riforma deve immediatamente portare a una diminuzione delle norme su eguale materia, altrimenti non è valida.
2. La via giudiziaria alle mani pulite ha fallito. Ha distrutto qualche partito, cambiato qualche consiglio d’amministrazione, ma non è servita a rendere migliore l’Italia. “Perché è stata una resa di conti interna al vecchio sistema”. Non serve aggiungere altro. Potrei dire che quel passaggio va inquadrato anche nella storia e nella geopolitica, che ne furono determinanti. Ma sono già abbastanza felice di vedere che chi è giovane può ragionare abbastanza da capire.
3. Il rapporto fra affari e politica s’è incancrenito perché si sono lasciate aperte tre piaghe: il finanziamento della politica; la regolamentazione dei partiti; e quella delle lobbies. Tre leggi mancanti. Mancanze che derivano da un comune ceppo ipocrita (e totalitario), ovvero il volere ciascuno essere interprete degli “interessi generali”, considerando degradante incarnare quelli reali, per loro natura parziali. Il tassello più delicato è quello che Gay pone al centro: la regolamentazione dei partiti. Settanta anni fa sarebbe stata una bestemmia, ma oggi rischia d’essere una battuta, vista la condizione in cui si trovano.
4. Dobbiamo imparare a contabilizzare i risultati, misurando il rapporto fra cause ed effetti, fra promesse e realtà. Altrimenti le riforme saranno solo una cambiar di nome a cose e concetti sempre più consunti. In assenza di dati accettati le discussioni si fanno ideologiche, e quando le ideologie tramontano diventano scontri di tifosi. Roba demente, con rispetto parlando. Il fatto è che noi già avremmo diversi istituti preposti ai dati e alle misurazioni, cui si somma un numero divertente di presunte autorità indipendenti. Solo che le nomine hanno targhe politiche. Gay ha ragione, ma faccia attenzione in casa, in quella Confindustria di cui si commentavano, qualche tempo addietro, le previsioni di crescita italiana al di sopra del 2%. Quello che Gianni Brera avrebbe definito: un tiro alla viva il parroco.
5. Passi per gli 80 euro, l’Irap, le defiscalizzazioni, tutte non misurate negli effetti, ma, alla fine, qual è la politica industriale? La lascia come domanda, perché non c’è risposta. Segnalandone la necessità. E’ così: tante tessere del mosaico, alcune apprezzabili, altre orribili, ma senza il disegno. Critica che vale per questo governo, ma anche per un’intera stagione. Ai governi che, nel tempo, rispondono elencando le (a loro giudizio) numerose cose fatte, c’è da chiedere: ma non capite che più lungo è l’elenco più vasto il vostro fallimento, visto il risultato complessivo?
6. Al governo proponiamo uno scambio: noi industriali ci assumiamo l’onere di far crescere le nostre aziende, il che significa investire (ma non possiamo riuscirci se la defiscalizzazione inglese, per le nuove società, è all’85%, mentre da noi si ferma al 20), voi governanti v’incaricate di sgomberare il mercato dalle macerie giudiziarie, dai blocchi amministrativi, dai ricorsi infiniti a dalle 32mila stazioni appaltanti. Volesse il cielo. Ma sta accadendo il contrario. Le nuove aziende cercano ambienti meno ostili, mentre le novità legislative, dall’abuso di diritto al falso in bilancio, sembrano fatte apposta per allargare la centralità togata.
Qui occorre saper fare i conti non solo con la politica, ma, appunto, con la forza degli interessi. Gay ha detto che vogliono sporcarsi le mani. Bravo, è il modo migliore per avere la coscienza pulita. Ha anche detto che alle regionali tutti hanno perso, perché gli elettori hanno voltato le spalle alle urne. Secondo me anche perché ciascuno ha incassato una sconfitta della propria strategia (si fa per dire). Temo che non basteranno i guanti, ci vorranno anche gli stivali.

Davide Giacalone
@DavideGiac

venerdì 12 giugno 2015

Il Papa ai giovani: "Staccatevi dal computer"

Il Papa ai giovani: 

«Staccatevi dal computer»


Il Papa e il web: «Se rimango attaccato alla vita virtuale è una malattia psicologica. Ci sono cose sporche in rete: dalla pornografia ai programmi vuoti. Attenti alla cattiva fantasia che uccide l’anima»

di Gian Guido Vecchi - inviato del Corriere della Sera


l volo AZ4001 che riporta il Papa a Roma è appena decollato, Francesco raggiunge i giornalisti in fondo all’aereo, li saluta uno ad uno e, a dispetto della giornata massacrante, trova il tempo di rispondere a tre domande. 

Santità, c’è grande interesse e attesa per il giudizio della Chiesa su Medjugorje. A che punto siamo? 
«Papa Benedetto XVI a suo tempo ha fatto una commissione presieduta dal cardinale Camillo Ruini, c’erano altri cardinali e specialisti. Il cardinale Ruini è venuto da me e mi ha consegnato lo studio, dopo tanti anni di lavoro. Hanno fatto un bel lavoro, un bel lavoro. Il cardinale Müller (prefetto dell’ex Sant’Uffizio, ndr ) mi ha detto che avrebbe fatto una “feria quarta” in questi tempi, credo l’ultimo mercoledì del mese, per prendere decisioni che poi si diranno. Ai vescovi si daranno soltanto alcuni orientamenti». 

Andrà in Croazia? 
«Non so quando ci sarà la visita, ma adesso mi ricordo la domanda che mi avete fatto quando sono andato in Albania: perché comincia a visitare l’Europa da un Paese che non appartiene alla Ue? E io ho risposto: è un segnale. Vorrei cominciare le visite in Europa con i piccoli Paesi. I Balcani sono martoriati, hanno sofferto, tanti, per questo mia preferenza è qua». 

Ha parlato di un “clima di guerra”. Ai giovani diceva di “alcuni potenti della terra dicono belle cose ma di nascosto vendono le armi”. Ci può approfondire la questione? 
«C’è ipocrisia, sempre. Per questo ho detto che non è sufficiente parlare di pace: si deve fare la pace. Chi parla di pace soltanto e non fa la pace è in contraddizione. E chi parla di pace e favorisce la guerra con la vendita delle armi è un ipocrita». 

Nel suo incontro con i giovani, a proposito di tv e computer, ha parlato della “cattiva fantasia che uccide l’anima”: intendeva la pornografia? 
Ha detto anche: “se tu che sei giovane vivi attaccato al computer e diventi schiavo del computer tu perdi la libertà; e se nel computer cerchi i programmi sporchi, perdi la dignità”. 

«Ci sono due cose differenti: le modalità e i contenuti. Sulle modalità, c’è una modalità che fa male all’anima ed essere troppo attaccato al computer. Questo fa male all’anima e toglie anche la libertà, ti fa schiavo dl computer. È curioso, tanti papà e mamme mi dicono dei figli che stanno a tavola col telefonino. È vero che il linguaggio virtuale è una realtà che non possiamo negare, ma dobbiamo portarla sulla buona strada. Se no ci porta via della vita comune, familiare, sociale, o anche solo dallo sport, dall’arte…Se rimango attaccato al computer questa è una malattia psicologica, sicuro. Secondo, i contenuti. Ci sono cose sporche, che vanno dalla pornografia alla semipornografia ai programmi vuoti, senza valori, relativisti, edonisti, consumistici che fomentano queste cose….Noi sappiamo che il consumismo è un cancro della società, che il relativismo è un cancro della società. Di questo parlerò nella prossima enciclica. Ho detto la parola sporcizia in generale. Ci sono genitori molto preoccupati che non permettano ci siano computer nella stanza dei bambini, i computer devono essere in uno spazio comune della casa».

Pensa di fare un viaggio in Francia, oppure ci sono problemi (allusione al caso dell’ambasciatore Stefanini, ndr)?

«Ho promesso ai vescovi che andrò in Francia. I piccoli problemi non sono problemi. 
Non ci sono problemi».

7 giugno 2015 | 00:02
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mercoledì 10 giugno 2015

Facebook un maledetto e schifoso aggeggio sfascia faniglie socialmente pericoloso


FACEBOOK UN MALEDETTO E SCHIFOSO AGGEGGIO SFASCIA FAMIGLIE SOCIALMENTE PERICOLOSO



Basta Facebook non avrai la mia vita, la mia serenità familiare, i miei affetti, il mio futuro, sei solo uno schifoso aggeggio sfascia famiglie socialmente pericoloso … e ti cancello …
Facebook viene definito come “moltiplicatore d’ansia”, “un nuovo occhio che guarda ed equivoca”, sicuramente “un gioco pericoloso”
L’articolo è firmato da Annalena Benini.  Facebook è visto unicamente come strumento di cucco selvaggio per adolescenti sfigati o attempati cucadores sfascia famiglie.

10 ragioni per cui dovremmo tutti cancellarci da Facebook

Dan Yoder di Rocket.ly ha pubblicato sul suo blog un post contenente 10 motivi-verità fondamentali per cui non sarebbe più conveniente restare iscritti a Facebook. Questo, nonostante lo straordinario successo riscontrato dalla piattaforma (anzi, per certi versi, forse proprio per questo tipo di demografiche e statistiche d'uso).
Il post di Dan parte con un invito perentorio: cancellarsi tutti, cancellarsi subito. E’ molto chiaro: Facebook è un'azienda antietica, che può fare il male dei suoi utenti. Tanto che molto spesso quegli stessi utenti vengono scambiati per un prodotto, invece che dei consumatori di qualcosa che essi stessi producono.
I 10 motivi addotti da Dan per corroborare questa sua tesi sono i seguenti:

10. I Termini legali del Servizio sono vantaggiosi solo per Facebook: sono unilaterali. Una delle diciture che più allarma Dan è quella secondo la quale i dati degli utenti iscritti a Facebook non solo sono di proprietà di Facebook ma, in caso di mancato e sollecito aggiornamento (vedere sezione 4.7 dei Termini), l'utente stesso potrebbe ritrovarsi col proprio account chiuso. Terminato. Kaput. L'impressione che un esperto di network sociali come Yoder è semplice: gli utenti sono visti come degli "impiegati non pagati", perennemente al lavoro per fornire a Facebook dati utili al targeting delle loro pubblicità.

9. Il CEO di Facebook ha alle spalle un passato evidentemente antietico. Siamo abituati da anni a concedere a Google i nostri dati più personali, solo perché siamo convinti che sia un'azienda profondamente e intimamente "buona". Chissà se le cose cambieranno. Intanto, per Mark Zuckerberg, di "bontà" non ce ne sarebbe mai stata tanta, a disposizione. Dan ricorda di come BusinessInsider svergognò il fondatore di Facebook, riportando di come avesse usato messaggi privati sulla piattaforma (e preziose password inserite sulla stessa) per accedere alla posta elettronica di alcuni suoi "nemici personali". Lo stesso fatto che Zuckerberg accettò di versare 65 milioni di dollari all'ex compagno di studi che lo accusava di avergli copiato l'idea di Facebook, sempre secondo Dan, la dovrebbe dire lunga sullo stato della coscienza di questo imprenditore del web troppo potente e forse troppo giovane.

8. Per Facebook e il suo fondatore, la privacy è un chiaro ostacolo allo sviluppo. Qualcosa di economicamente controproducente. Ecco quanto Zuckerberg ha dichiarato in gennaio:
"Gli utenti di Facebook stanno prendendo sempre più confidenza con la condivisione online, e con la condivisione di sempre più cose e di diverso tipo e con più persone. Le norme sociali sono qualcosa che si può evolvere nel tempo". 

7. Il fatto che quanto appena trascritto sia sfruttano più a vantaggio di Facebook che degli utenti, costituisce il punto settimo delle accuse di Dan Yoder. Facebook fa un doppio gioco: da una parte, è chiarissimo e dettagliatissimo nello spiegare agli sviluppatori dell’applicazioni (che girano sulla sua piattaforma), come sfruttare ogni granello di informazioni personali, tramite API continuamente aggiornate. Dall'altra, non informa assolutamente con la stessa premura gli utenti stessi, di questi continui "ultimi ritrovati" della tecnica. La lunga storia delle modifiche alle norme sulla privacy di Facebook (una vera e propria soap opera), è riassunta benissimo in questo post.

6. Facebook si comporta come un bullo. Non un bulletto qualunque: un bullo bello grosso e malintenzionato. Quando uno sviluppatore rivelò all'opinione pubblica delle intenzioni di Facebook, riguardo alle API Open Graph (che avrebbero reso pubblico tutto quanto condiviso su Facebook, fino a quel momento), Facebook gli fece causa. Gli fece causa anche se aveva espressamente intenzione di realizzare quello che Pete Warden rese noto. Facebook vuole tenere i suoi utenti il più possibile all'oscuro di quelle che sono le sue intenzioni. E questo è male. Molto male.

5. I dati personali non sono solo nelle mani di Facebook, ma anche in quelle di ogni singolo sviluppatore di terze parti - per Facebook - le cui applicazioni decidete di installare. Dunque non si tratta più di credere o meno alla supposta bontà o etica di un gigante, ma a quella di migliaia e migliaia di nanetti, che della vostra privacy se ne infischiano, o non hanno abbastanza tempo e denaro per occuparsene seriamente. E' come se, anche coi filtri della privacy impostati al meglio che possiate, i vostri dati fossero comunque sempre virtualmente pubblici. Rifletteteci.

4. Facebook non è degno della nostra fiducia neanche da un punto di vista meramente tecnico. Se anche fosse "buono" ed etico, Facebook non sarebbe comunque un ecosistema abbastanza sicuro per i nostri dati, le nostre immagini, i nostri contatti. Più volte è stato dimostrato come sia vulnerabile agli attacchi di phishing e di spammer. Basti ricordare il giorno in cui, magicamente, tutti i profili divennero pubblici. Un vero incubo di privacy. Come giustamente nota Dan, le cose sono due: o Facebook non tiene alla vostra privacy, oppure non ha ingegneri abbastanza preparati. Oppure, semplicemente, tutte e due le cose.

3. Facebook vi rende la vita molto, molto difficile, nel caso vogliate chiudere il vostro account. Sembra un paradosso, ma non lo è: Dan ci consiglia di cancellare il nostro profilo su Facebook perché si tratta di un'operazione dall'esito incerto e dalle procedure macchinose e difficoltose. Inoltre, anche qualora riusciate ad andare oltre le procedure in questione, Facebook non promette da nessuna parte di non conservare i vostri dati personali. Come se non bastasse, come da punto 5 della presente lista, anche gli sviluppatori di terze parti presenti sulla piattaforma potranno conservare informazioni private sul nostro conto. L'esperienza di "provare" a cancellare un account, ad ogni modo, è molto confusionaria. Seguendo il link più ovvio, si viene condotti a una pagina che permette di disattivare, non di cancellare l'account in questione. Per cancellarlo davvero, provate a seguire questa guida. E buona fortuna. Non è detto che ce la facciate, visto che Facebook ama sperimentare molto su questo tema della cancellazione degli account. Certo, quando si tratta di cancellarne uno senza prevviso, Facebook non si pone tutte queste difficoltà. E' quando siete voi a volerlo cancellare, che iniziano i problemi. Se disattivate soltanto il vostro account, darà semplicemente come non fare login per un po'. Tutti i vostri tag nelle foto restaranno, con tanto di vostro nome e cognome, per esempio. Oppure, incredibile ma vero, se non opterete per non riceverne più, continuerete a leggere mail da Facebook con notifiche sulle attività di altri utenti o applicazioni sui vostri dati.

2. Facebook non supporta pienamente l'Open Web. Paradossalmente (anche qui), nonostante questa straordinaria "apertura" nei confronti della socialità dei suoi utenti, e nonostante lo stesso nome dato alle API Open Graph, Facebook si è sempre dimostrato estremamente refrattario nei confronti degli standard Open Web, e possiede una sua natura fondamentalmente "chiusa". Quell'Open è quasi uno sfottò alla privacy degli utenti di Facebook. Come se non bastasse non avere un'idea chiara di come cancellare il proprio account, ora l'insieme degli strumenti che permettono a Facebook e relative applicazioni di scavare nelle vostre informazioni private, si chiama "Open Graph". Quando è troppo è troppo: nulla è aperto in Facebook, se non una parte altamente metaforica del vostro corpo. Di tutto il resto è proprietario Facebook e solo Facebook. Il quale ha addirittura creato un'alternativa - aggressiva e onnipresente - a OpenId, chiamandola Facebook Connect.

1. Ma il motivo principale per cui abbandonare la nave di Facebook sembra essere un colpo di scena finale: perché non è un "granché". Anzi, secondo il nostro Dan, farebbe addirittura "schifo". In mezzo a tutta la confusione creata intorno alle più insipide applicazioni di appuntamenti al buio, quando non si stratta di infantili social game (che però piacciono solo agli adulti frustrati e in cerca disperata di nuove addiction), si è perso completamente il senso di tutto il gioco di Facebook. Quel barlume di fascinazione che esercitava all'inizio della sua vita: metterci in contatto coi nostri amici del passato, del presente e, perché no, del futuro. Oltretutto, Facebook è lento, inaffidabile, pachidermico. Insomma, quando non è fastidioso, pericoloso o inopportuno, Facebook è comunque noioso. Facebbok "È potenzialmente più pericoloso di Google per la libertà di espressione.

C’e’chi va in giro senza cellulare perché crede sia uno strumento usato per la sorveglianza di massa (e’ stato definito il sogno di Stalin). 

 
E’ pericoloso mettere le foto di bambini su Facebook


Potrebbe comportare conseguenze al momento non immaginabili per il loro futuro. 

Tutti mettiamo le foto di figli e nipoti sul web, specie su Facebook. Perché lo facciamo? Per molti motivi, tra cui tenerci in contatto con amici e parenti che non sono vicini, perché i bambini ci sembrano e in effetti sono adorabili, per tenere una sorta di diario delle loro evoluzioni. Eppure gli esperti mettono in guardia da questa abitudine per diversi motivi: il primo è intuitivo. Non è etico mettere online le foto di qualcuno – sì, anche un bambino piccolo è un essere umano dotato di diritti – che potrebbe considerare la cosa negativamente, quando ne avrà la possibilità. Poi, postando foto – specie ridicole e divertenti – di bambini, eliminiamo ogni loro possibile speranza di restare anonimi, in futuro. Speranza che se anche noi non condividessimo, saremmo tenuti a rispettare.
Ma prima di farci un’idea, e decidere se la condividiamo oppure no, pensiamo a quando questi bambini saranno adolescenti.
Difficile immaginare cosa sarà diventato Facebook, ma tutto lascia immaginare che cercare le foto degli utenti – specie se identificate e taggate – sarà ancor più facile e veloce, e allora tutta una scuola di adolescenti avrebbe a disposizione il suo primo bagnetto, la prima crisi isterica, la sua faccia paffuta con gli occhi storti, e altre immagini più o meno imbarazzanti per superare la già difficile pubertà (qui un elenco di esempi di foto sbagliate) .
Ma molti esperti di web e social media, ipotizzano che queste immagini potrebbero influenzare addirittura il loro ingresso all’università o l’accesso al mondo del lavoro, dato che sempre più aziende tranquillamente e giustamente spiegano di consultare i social media prima di scegliere un candidato.
Questo potrebbe non dover significare una censura totale alle immagini dei nostri bambini online. Se riteniamo eccessiva la prudenza di non postarli perché non possono ancora esprimersi in merito, quello che siamo tenuti a fare è non taggarli con il loro nome intero e, meglio ancora, utilizzare per i social il soprannome che usiamo a casa. Mai indicare la data e il luogo di nascita, o l’indirizzo di casa, contro i furti di identità. Ovviamente si dà per scontato che le impostazioni di privacy di un genitore che posta le immagini di un figlio siano ristrette ai soli amici, ma questo vale a patto che il vostro Facebook sia veramente collegato solo a vostri reali amici.
Cosa ci aspetta in futuro, come fa notare Slate, già il presente ci ha mostrato cosa può comportare avere in rete ampio materiale che ci interessa, anche se non se ne parla così spesso. Molte applicazioni, siti e tecnologie indossabili si basano oggi sul riconoscimento del viso.
Nel 2011 un gruppo di hacker ha messo a punto una app che permette di fotografare un volto, e avere dopo pochi minuti il nome e una breve biografia della persona in questione direttamente sul cellulare, con tutta la storia delle sue immagini online e delle info rese disponibili su di lui.
Insomma, quello che da genitori dobbiamo avere chiaro quando postiamo una foto di nostro figlio, o quando rendiamo pubblici e consultabili i suoi dati sensibili, è che l’uso che noi oggi facciamo dei media sicuramente non sarà lo stesso uso che ne farà la società che lo aspetta da adolescente e da adulto.



Il Papa su Medjugorje: "Questo non e' cristianesimo"

Il Pontefice: «La Madonna non manda emissari». E mette in guardia: «Non annacquate l’identità cristiana in una religione soft»

 

Dopo aver annunciato sull’aero che lo riportava da Sarajevo che presto farà conoscere i suoi orientamenti sulle apparizioni di Medjugorje, nell’omelia di oggi a Santa Marta, Papa Francesco ha criticato «quelli che sempre hanno bisogno di novità dell’identità cristiana» e hanno «dimenticato che sono stati scelti, unti», che «hanno la garanzia dello Spirito». E poi un riferimento nemmeno troppo velato a quanto accade nel Santuario della Bosnia: «Ma dove sono i veggenti che ci dicono oggi la lettera che la Madonna manderà alle 4 del pomeriggio e vivono di questo?», si è chiesto. «Questa - ha affermato - non è identità cristiana. L’ultima parola di Dio si chiama “Gesù” e niente di più».
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No a una religione «soft»
Il Pontefice dice no, dunque, «ai sedicenti veggenti che pretendono di possedere la verità rivelata». 
E nella lunga omelia celebrata alla domus di Santa Marta ha ricordato che «l’identità cristiana richiede un lungo cammino»; e che è «concreta, non una religione soft»: un altro rischio per la testimonianza cristiana - ha detto - è la mondanità di chi «allarga la coscienza» così tanto da farci entrare dentro tutto. E questo anche se l’identità cristiana, giacché «siamo peccatori, è tentata, viene tentata; le tentazioni vengono sempre» e l’identità «può indebolirsi e può perdersi». Attenti dunque, ha ammonito il Pontefice «a questa religione un po’ soft, sull’aria e sulla strada degli gnostici. Dietro c’è lo scandalo. Questa identità cristiana è scandalosa».

9 giugno 2015 | 13:01

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martedì 9 giugno 2015

Ma dove sta il nuovo?

La discussione e la storia delle convulsioni del Pd sta diventando la discussione e la storia della vita politica italiana per intero. Si tratta di un limite dovuto alla pochezza ed alla limitatezza di prospettive della stampa italiana nel darci conto della vivacità del dibattito condotto in altre sedi, o del totale asservimento dei media, che non sono nemmeno in grado di cogliere la vacuità di certe discussioni, fra pseudorinnovamento e conservazione di pezzi di ideologie condannate dalla storia, e ricerca di improbabili equilibri fra opzioni divergenti? 
Direi che è successo di peggio: non ci siamo accorti che un partito che sta quotidianamente dimostrando di non essere in grado di evolvere verso una moderna socialdemocrazia ha comunque perseguito per anni e con grande determinazione – e realizzato pienamente – il “cuore” del suo antico programma: la conquista del potere. Anche a costo di dimenticare per strada pezzi di “valori” un tempo ritenuti irrinunciabili e fondativi.
Se si potesse fare una mappa delle posizione di potere – le poltrone pubbliche o semipubbliche: comuni, province, regioni, municipalizzate, burocrazia centrale e periferica, scuola e università, cooperative rosse ancelle del potere, sindacatiscopriremmo che l'Italia intera è governata e “posseduta” per la massima parte da uomini dell'ex-Pci o vicini ai suoi eredi, integrati con le falangi di molti postdemocristiani di sinistra: prevalgono in una percentuale strabiliante ed in un modo che ben poco ha a che vedere con la distribuzione degli orientamenti politici dell'elettore italiano.
Ecco perché parlare del partito di Renzi è diventato un po' come parlare della politica tout court in Italia. Miracolo italiano? Giusta riluttanza di molte formazioni politiche a concepire la lotta politica come confronto al coltello con il “nemico”, costrette a combattere ad armi impari con i Portatori del Bene? Debolezza ideologica e organizzativa degli “altri”?
Certo, questa sorta di schizofrenia che ha creato un divario tanto grande fra aspirazioni e idee degli elettori, e istituzioni, meriterebbe qualche valutazione in più fra gli Italiani: in fondo, non è improbabile che ad essa possa essere collegato quell'insieme spesso scomposto e disorganico di separatismi e di rifiuto della politica che caratterizza il nostro Paese. Nel quale una parte ha preteso ed ottenuto di rappresentare il tutto.
Questa constatazione, difficilmente oppugnabile, dovrebbe bastare per concludere che un cambiamento serio e radicale ben difficilmente potrà nascere dal partito di Renzi.

domenica 7 giugno 2015

Come l'Italia pago' la FIFA nel 1990

La crisi della FIFA e le dimissioni di Sepp Blatter possono essere commentate in Italia con il ricordo dei mondiali del 1990. Si sa oggi che il luogo principe della corruzione gestita dalla FIFA sui campionati mondiali di calcio era proprio quello delle trattative per la scelta della nazione che li avrebbe ospitati. I paesi pagavano alla FIFA direttamente o indirettamente cospicue tangenti per essere scelti come sede della manifestazione. Le modalità con le quali venivano trovati e trasferiti i soldi erano le più svariate: contributi alla FIFA per la costruzione di impianti per il calcio in paesi nei quali si voleva sviluppare lo sport, pagamenti diretti alle casse della FIFA, triangolazioni con le concessioni pubblicitarie e i diritti televisivi…e molti altri sistemi più o meno trasparenti e più o meno equivoci.
L’Italia ottenne i campionati del 1990 pagando una cifra enorme che ancora oggi è difficile ricostruire e quantificare ma si trattava di diverse decine di miliardi di lire. Di denaro pubblico. Il meccanismo fu semplice e in apparenza quasi inattaccabile giuridicamente, ma in realtà comportò pesanti abusi amministrativi (indebite disposizioni di cespiti pubblici) complicità e connivenze delle amministrazioni delle 12 città sedi di partite. Abusi, responsabilità e complicità che non vennero perseguite da una magistratura distratta anche per effetto della copertura complice fornita dalla stampa.
Il meccanismo venne denunciato solo a Torino perché fece scattare un conflitto durissimo tra l’Amministrazione della Città e la Concessionaria che doveva costruire il nuovo stadio. Il conflitto venne soffocato da interventi politici di vario segno caratterizzati dalla consociazione PCI/DC che allora dominava l’Italia. Ecco in sintesi il meccanismo truffaldino che venne posto in essere. La FIFA chiese alle città potenzialmente ospiti di partite di Italia 90 di mettere a disposizione gli stadi “nudi” di concessioni pubblicitarie. Il Comitato Organizzatore Locale (il ministro Carraro, e Luca Montezemolo) si fecero mallevadori della richiesta confermando che la condizione era irrinunciabile: senza la disponibilità degli stadi e della pubblicità negli stadi e la città non avrebbero avuto partite. Nessuna città italiana candidata ad avere partite del campionato poteva permettersi di perdere l’opzione. Quindi tutti i sindaci delle città interessate scrissero una lettera alla FIFA confermando la disponibilità dello stadio “nudo” di vincoli pubblicitari.
Non sono al corrente delle procedure seguite nelle altre città per approvare l’impegno con la FIFA: un impegno del valore di diversi miliardi di lire in cespiti di pertinenza delle città in quanto proprietarie degli stadi e titolari delle concessioni per la pubblicità nei medesimi. So che a Torino la lettera venne redatta, firmata e protocollata dal Sindaco Diego Novelli (PCI), ma non venne mai sottoposta all’approvazione della Giunta e tantomeno del Consiglio Comunale pur avendo il valore di un impegno multimiliardario di denaro pubblico. Quando il Sindaco Diego Novelli firmò quell’impegno lo stadio comunale era di proprietà della Città che era anche il soggetto titolare della pubblicità nello stadio stesso che veniva data in concessione ogni anno a una società Torinese (Publimondo). Cambiò l’Amministrazione e la Città decise di costruire un nuovo stadio per mezzo dell’istituto della Concessione Build Operate and Transfer.
Nella concessione trentennale era compresa, ovviamente, la pubblicità. L’ex sindaco Novelli quando venne stipulata e approvata dal Consiglio Comunale la Concessione per la costruzione del nuovo stadio si guardò bene dall’informare gli assessori competenti dell’esistenza dell’impegno con la FIFA, la lettera era nel suo protocollo personale e non rintracciabile dagli uffici. Probabilmente si era reso conto del fatto che quella lettera copriva un illecito amministrativo del valore di qualche miliardo che non era opportuno sbandierare.
Il caso esplose pubblicamente quando la Concessionaria che costruiva il nuovo stadio si vide chiedere dalla FIFA lo stadio “nudo” di vincoli pubblicitari. Ci furono scambi di raccomandate e colloqui con la FIFA e la sua agenzia pubblicitaria e la Stampa di Torino scrisse articoli arroganti ridicolizzando la Amministrazione che non aveva tenuto conto dei diritti pubblicitari regalati, privatamente, alla FIFA dal Sindaco Novelli e dai responsabili CONI e COL in ossequio alle procedure truffaldine che la FIFA praticava da anni e che avrebbe praticato per anni a venire con la protezione della Confederazione Elvetica e la complicità di tutti gli organismi del calcio mondiale.
Finalmente nel 2015 arrivano gli americani che, liberi dall’asservimento a Blatter tipico del Calcio Europeo, Africano e Asiatico aprono la enorme scatolona di vermi. L’Italia e i giornali italiani però non strillino troppo: CONI e COL e le dodici città italiane che ospitarono partite nei mondiali del 1990 pagarono con denaro pubblico il loro ricco contributo alla corruzione rampante della FIFA e dei suoi dirigenti. Coperti tutti dal silenzio della stampa. Torino provò a ribellarsi ma venne ridicolizzata dai giornali che oggi sguazzano nella denuncia di Blatter e dei suoi colleghi.

Le previsioni azzardate

Corriere della Sera - Anche se in Italia invitare alla prudenza contro la pretesa di trarre da elezioni regionali indicazioni sulle future elezioni politiche è, per lo più, un’impresa inutile, proviamoci ugualmente, non si sa mai. Ci sono almeno tre ragioni per diffidare di siffatte indicazioni e previsioni. La prima riguarda il numero dei votanti. Con il 52,2 per cento dei voti queste elezioni hanno registrato un elevato astensionismo. È difficile che alle prossime consultazioni politiche la percentuale dei votanti resti così bassa (se non altro perché la posta in gioco sarà diversa, e più alta, di quella regionale). Se salirà significativamente, vorrà dire che quella parte, rilevante, dell’elettorato detto moderato, poco portato verso le varie forme di estremismo, che è oggi rimasta a casa, sarà andata a votare. Se ciò accadrà, plausibilmente, le percentuali di voti dei partiti più estremi si ridurranno. Tutto dipenderà dalle offerte politiche che Renzi da un lato e ciò che oggi continua a ruotare intorno a Berlusconi dall’altro lato, saranno in grado di offrire agli elettori. È improbabile, ad esempio, che i 5 Stelle, contrariamente a ciò che qualcuno ha ipotizzato, possano domani andare al ballottaggio contro Renzi in elezioni politiche nazionali. È forse sufficiente, perché ciò non si verifichi, che salga in modo significativo la percentuale dei votanti.
La seconda ragione per tenersi alla larga da previsioni azzardate ha a che fare con la fondamentale regola di saggezza secondo cui è vietato confrontare mele e pere. Regge assai poco il confronto fra le Europee dello scorso anno e le Regionali di oggi, fra una elezione tutta giocata sulla leadership di Renzi e elezioni regionali in cui sia le facce dei candidati in lizza (vedi, ad esempio, fra i vincenti, Emiliano e De Luca) sia i risultati conseguiti o non conseguiti nella passata gestione, contano quanto, se non più, delle leadership nazionali. Al netto delle divisioni entro la sinistra, chi ha perso in Liguria? Renzi oppure chi ha gestito la Regione nel decennio precedente? Per lo meno, possiamo dire che se Renzi vinse le Europee tutto da solo, in Liguria ha perso in buona e folta compagnia. Per la stessa regola di saggezza si eviti di accostare troppo disinvoltamente elezioni fra loro così diverse come le Regionali e le Politiche. Fare finta che i risultati di elezioni locali non siano fortissimamente influenzati da motivi locali è sbagliato, frutto di un pregiudizio ipercentralista secondo il quale tutto ciò che accade in giro per l’Italia è solo un riflesso di ciò che accade a Roma.
La terza ragione ha a che fare con le differenze di sistema elettorale. Se alle prossime Politiche si voterà con l’Italicum e se non potrà essere aggirata la regola che vieta le coalizioni (già ora si sente parlare di listoni, un modo per far rientrare dalla finestra quelle coalizioni che sono state vietate dalla legge), si giocherà con regole assai diverse da quelle delle Regionali, e anche delle precedenti elezioni politiche. Se non ci saranno coalizioni, allora anche l’attuale autoincoronazione di Matteo Salvini quale leader del centrodestra non significherà molto. Perché ciascuno dovrà giocare per sé. E se gli astensionisti di centrodestra (quelli che già si astennero alle Politiche precedenti) ritorneranno in campo attirati da una buona offerta politica, la partita a destra diventerà apertissima.
In linea di principio, il ballottaggio favorisce le formazioni centriste. Ma perché ciò accada occorre che, per lo meno, tali formazioni esistano. C’è già oggi il (centro)sinistra, il Pd di Renzi. Manca ancora un (centro)destra con una rinnovata capacità di attrazione. Chi metterà mano alla sua ricostruzione dovrà affrontare un difficile problema: se è vero infatti che, con l’ Italicum , ciascuno correrà per sé, è anche vero che le due principali formazioni di destra (Lega e ex Forza Italia) non potranno comunque esasperare troppo la loro competizione politica. Chi andrà al ballottaggio dovrà poter contare, al secondo turno, sugli elettori della parte esclusa. Ciò significa che, anche senza formare una coalizione, le varie anime del centrodestra dovranno cercare un punto di mediazione. È un’operazione difficile: come si fa, ad esempio, a mettere insieme il no all’euro di Salvini e il sì all’euro della destra moderata? C’è chi pensa che Salvini abbia la duttilità necessaria per fare la richiesta convergenza al centro e c’è chi pensa che non potrà permetterselo. Ma non dipenderà solo da lui. Dipenderà anche dalla forza o dalla debolezza dei suoi interlocutori.