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giovedì 2 novembre 2017

"Indagheranno Silvio Berlusconi fino a quando non creperà. E la sinistra gode"


ITALIETT




Ci risiamo. Berlusconi è di nuovo indagato. Sarà la centesima volta. Che barba. Si è mobilitata la Procura di Firenze per avviare l’ennesimo provvedimento contro il fondatore di Forza Italia. Un caso? Probabilmente sì. Tuttavia giova ricordare che tra qualche giorno si vota in Sicilia per la Regione, e Silvio pare sia destinato, in società con altri partiti, a vincere le elezioni. Uno scandalo insopportabile per i progressisti, i quali pertanto mobilitano le truppe cammellate per evitare la sciagura. La magistratura, notoriamente indipendente da se stessa, si dà da fare in proprio e riapre un fascicolo vintage riguardante due pezzenti mafiosi e canterini. Che venticinque anni orsono, chiacchierando tra loro in cella, dissero che il Cavaliere fece uno sgarbo alla piovra. Ciò dimostrerebbe un legame fra il medesimo e i picciotti. Naturalmente complice di Silvio sarebbe Marcello Dell’Utri, condannato a sette anni di galera per essere stato «fidanzato» con dei capibastone, sia pure in modo platonico; la sentenza a suo carico è paradossale: concorso esterno in associazione mafiosa. Come dire: la mia morosa è rimasta incinta, ma appena appena. Il rovescio del diritto immerso nel ridicolo. Va bene lo stesso. Bisogna accettare anche il vomito della legge approvato da un Parlamento di sbronzi.
Procediamo. Berlusconi è alle prese con la giustizia da un quarto di secolo, forse più. Solo in una circostanza è stato incastrato dai giudici in via definitiva: per un reato di frode fiscale che non poteva aver commesso poiché egli era presidente del Consiglio e non in grado di ricoprire il ruolo di rappresentante legale della propria azienda. Una sentenza incomprensibile servita, però, a infliggere all’imputato la sospensione dei diritti civili in base all’applicazione retroattiva, quindi illegittima, della norma Severino, incautamente votata da Forza Italia; questo per dire quanto fessi siano i personaggi scelti dal re di Arcore per fare politica. Poveri dementi.
Ciò c’entra col nostro discorso odierno. Siamo incapaci di comprendere la ratio della novella inchiesta che ne ricalca una gemella morta e sepolta. L’hanno in pratica riesumata. Su misura? Difficile non sospettarlo. Berlusconi è pieno di difetti, come tutti noi provvisoriamente viventi, ma pensare che sia mafioso e tratti in Sicilia, con i mammasantissima, i propri affari milanesi significa formulare ipotesi azzardate se non completamente folli.
Così è. Poiché Dell’Utri è palermitano immigrato in Lombardia, e ha dato una mano a Silvio in Publitalia, che raccattava inserzioni per la tivù, e poi si è ingegnato nella costituzione del partito azzurro, non può che essere diventato col tempo il trait d’union fra il Cavaliere e la criminalità organizzata. La fantasia sostituisce il rigore necessario per celebrare processi seri. Non solo. L’inchiesta in questione fu chiusa sei o sette anni orsono per mancanza di elementi concreti.
Oggi invece si ricomincia da capo visto che due storditi soldatini dell’onorata società, blaterando dietro le sbarre, hanno accusato l’ex presidente di nefandezze senza esibire lo straccio di una prova, per altro inesistente.
E allora? Avanti con le indagini per stabilire che cosa? Niente, niente c’è da accertare. Eppure la cacca nel ventilatore produce effetti disgustosi che servono a sporcare e a incidere sull’esito della consultazione prossima.
È assurdo vedere che Berlusconi debba difendersi ancora da pettegolezzi riferiti da gentaglia priva di qualsiasi credibilità. Chissà perché i mafiosi più squallidi hanno diritto di essere ascoltati. Forse le loro chiacchiere sventate eccitano le toghe più sensibili alla luce dei riflettori mediatici. Intanto la sinistra sinistrata gode e applaude.

di Vittorio Feltri

lunedì 30 ottobre 2017

Onesta', trallalla'

Il braccio destro del sindaco di Torino, Chiara Appendino, toglie una multa all'amico: altra figuraccia grillina


«La ferocia dei moralisti è superata soltanto dalla loro profonda stupidità», scriveva Filippo Turati.







Ma quanto sono stupidi questi grillini che urlano nelle piazze «onestà, onestà» e poi si fanno beccare a togliere le multe ai loro amichetti? È successo a Torino. Paolo Giordana, capo di Gabinetto e braccio destro della sindaca Chiara Appendino, è stato intercettato mentre pietiva il più classico e stupido abuso di potere, roba da sottobosco di Prima Repubblica. Giordana non è soltanto un tecnico, è l'ideologo della Appendino, il Rasputin dei Cinquestelle, uno organico al movimento degli onesti, che solo poche ore prima aveva subito un altro colpo, cioè l'avviso di garanzia per turbativa d'asta al proprio sindaco di Livorno Filippo Nogarin. Chi fa aumentare lo stipendio al fratello del suo socio, chi toglie le multe agli amici, chi pasticcia con i bilanci e chi con gli appalti. Da Roma a Torino via Livorno è questo il bilancio del partito degli onesti dove è andato al governo.
Del resto che c'è da aspettarsi di diverso da un partito il cui leader, Beppe Grillo - come racconta Antonio Ricci, padre di Striscia la notizia, nella sua biografia anticipata ieri dal Corriere -, non tanti anni fa girava nudo negli hotel di Tokyo facendo agguati ai clienti, copiava le battute da altri autori e millantava di aver scritto famose canzoni? Una simpatica canaglia, un pregiudicato per omicidio che non ha mai smentito di essere stato pure evasore fiscale. Di lui, e degli onesti che impongono ai loro dirigenti di togliere le multe agli amici, si sono innamorati pezzi forti della magistratura moralizzatrice, da Piercamillo Davigo a Nino Di Matteo, eroe dell'antimafia pronto a lasciare la toga per entrare in un eventuale governo Cinquestelle. Piccoli truffatori e feroci moralizzatori in campo al grido di «onestà trallallà». Storia già raccontata da un altro capocomico, Totò, nel celebre film Gli onorevoli, in cui il maldestro e nostalgico Antonio La Trippa tentò di scalzare il potere al motto di «vota Antonio, vota Antonio». Salvo poi scoprire che la sua squadra era più furba e corrotta di quella che si proponeva di sostituire. Abbiamo tutti riso, era solo un film.
Vai a immaginare che Grillo avrebbe provato a metterlo in pratica.